Nuova super perizia per la “Medea” di via Molinella

Il disequilibrio tra i referti presentati dalle parti ha indotto il Gup a incaricare un collegio di tre periti

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    Il disequilibrio degli emisferi. Cerebrali. La verità giudiziaria e i risvolti psichiatrici sulla 39enne Giovanna Leonetti, la biologa cosentina, trasformatasi, un anno fa, da mamma ad assassina della sua figlioletta, di appena sette mesi, non hanno, ancora, trovato un punto d’incontro comune. Un punto di contatto reso impossibile anche dalle divergenze degli esperti. Gli specialisti della mente, incaricati dalla Procura della Repubblica di Cosenza (l’inchiesta è diretta dal procuratore aggiunto Marisa Manzini e dal pm Domenico Frascino, ndr) nella loro analisi accusatoria hanno accertato che la Leonetti, al momento del terribile fatto di cronaca, era pienamente capace di intendere e di volere e pienamente consapevole di quello che stava facendo.

    Anzi, secondo i consulenti dell’accusa, la biologa, potrebbe aver pensato e progettato l’omicidio della figlioletta. Di parere opposto, i “mentalist” della difesa, (la biologa, è difesa dai legali Marcello Manna, Pierluigi Pugliese e Giuseppina Pezzi, ndr), convinti che l’accusata, non sia responsabile dell’omicidio. Un assassinio, “imposto” dai demoni della sua mente, una mente provata da una depressione post-partum.

    Una mente, “disturbata” dall’assenza di riposo e sonno ristoratore e una mente, “messa a dura prova” dall’essere mamma. Un mix di paure, inadeguatezze, inesperienza, stanchezza, letali e fatali?. Le perizie, come detto, differenti tra di loro, non hanno permesso al gup Giuseppe Greco, di pronunciare alcun giudizio. Anzi, il disequilibrio tra le perizie, ha imposto al giudice per le udienze preliminari, di incaricare tre super periti di stabilire quali fossero, al momento del delitto, le condizioni di salute generale e tenuta mentale di “mamma morte”. Già, mamma e morte. Due parole che, pronunciate insieme, emettono un suono così sgradevole, da mettere i brividi. Giovanna Leonetti, dal giorno del delitto, è in manette. La 39enne venne ricoverata, in stato di arresto e piantonata h24, all’Ospedale dell’Annunziata.

    Prima, nell’unità coronarica del nosocomio cittadino, poi nel reparto di psichiatria. Poi, per ordine del gip Francesco Luigi Branda, è stata trasferita in una clinica psichiatrica, dov’è ancora reclusa. Secondo il giudice per le indagini preliminari, infatti, la ristrettezza in una cella comune, avrebbe aumentato e dilatato l’eventuale disagio psichico della donna. Giovanna, raccontano i suoi familiari, si è già condannata, dandosi il massimo della pena. Come verdetto di colpevolezza morale. Ma, per capire se è davvero responsabile di quest’atroce delitto e se è stata “spinta” ad uccidere da un demone, spietato e brutale mandante dell’omicidio, bisognerà attendere l’unica verità che conta. Quella giudiziaria. Quella che, con la formula del rito abbreviato, si sta celebrando davanti al gup Greco. Ma la verità passa anche dalla e nella mente di Giovanna.

    Carmine Calabrese

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