Dimenticata la cella dei “disertori”. Ora è un magazzino occasionale

Al centro storico il luogo della loro ultima notte prima dell’eccidio

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    E’ stata l’ultima dimora dei cinque soldati fucilati per diserzione nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943. Una cella sulla strada principale del centro storico di Acquappesa. Abbiamo ancora testimonianze dirette di chi è sopravvissuto, che ci raccontano pezzi di quella storia, rimasta nella memoria cittadina come una ferita indelebile. Prima di essere giustiziati i cinque soldati, che si erano allontanati dalle loro postazioni convinti che la guerra fosse terminata, sarebbero stati rinchiusi infatti in questo spazio angusto di neppure 3 metri per 2, ridotto ora a discarica e magazzino occasionale di materiale edile, dal quale sono sparite le tracce di quell’unica finestra con le grate da cui risuonano ancora le loro grida di aiuto. Un pilastro della scala in cemento armato l’ha sepolta tentandone una rimozione collettiva.

     

    Erano stati trasportati su un camion ad Acquappesa dalla caserma di Fuscaldo, dove il colonnello Ambrogi, comandante del 141° reggimento, non era stato capace, per l’insorgere della popolazione, di portare a termine l’ordine perentorio del generale della 227a Divisione costiera, Chatrian, di giustiziare i cinque ritenuti disertori. Era un momento caotico della guerra, con l’avanzata delle truppe americane, sbarcate in Calabria il 3 settembre, e il ritiro di quelle tedesche che cercavano di lasciare terra bruciata dietro di sé. Funzionavano a tratti le comunicazioni telefoniche con il Ministero, anche questo in subbuglio per la fuga del re e di Badoglio; le direttive diramate risultavano oscure e confuse. Il testo dello stesso armistizio, diramato per radio l’8 settembre, non faceva comprendere che il nemico era cambiato. I nazisti, infatti, erano ancora giuridicamente alleati perché l’Italia si dimenticò di dichiarare guerra alla Germania.

    Alcuni testi critici affermano che i cinque, trasportati ad Acquappesa, erano stati “scaricati” vicino al cimitero e fatti sdraiare in un affossamento, incatenati l’uno all’altro, mentre dalle testimonianze si evince che sono stati trasportati prima al centro del paese, in quella cella che durante il fascismo era stata utilizzata anche per la detenzione di un militante comunista del luogo, Omero Orsino, che vi fu anche torturato. I fatti avvenuti al cimitero, secondo queste testimonianze, possono essere ricondotte invece al momento della fucilazione. I cinque soldati, ai quali settant’anni dopo sarà dedicata una lapide all’entrata  del cimitero, nel luogo stesso dove caddero increduli di tanta violenza, erano Michele Burelli di Sinopoli, Francesco Trimarchi di Cinquefrondi, Francesco Rovere di Polistena, Saverio Forgione di Sant’Eufemia d’Aspromonte e Salvatore di Giorgio di Cittanova. Tutti contadini, tranne il Di Giorgio che era cestaio, avevano famiglia. Tra le testimonianze, quella di Vincenzo Caruso che, appena 12enne, venne informato personalmente dal tenente che chiamavano “Padula”, di Sapri, dell’intenzione dell’eccidio. «Allora – ricorda Caruso – eravamo sfollati e ci riparavamo nella galleria di Intavolata, dove avevamo messo i nostri materassi sulle rotaie, tanto che, quando lo ritenevamo possibile, impedivamo anche il passaggio di carrelli su rotaie. Quando fui informato dal tenente allarmai l’intera galleria».

    La galleria, ormai in disuso, a binario unico, un altro referto storico, chiuso da una saracinesca e utilizzato da privati, mentre potrebbe diventare un museo storico. Quella in foto è l’entrata dell’unica parte originaria, mentre le altre gallerie, utilizzate come rifugio nel dopoguerra, sono state modernizzate per consentire il doppio binario. Alla marina il bunker da cui i soldati si difendevano dagli attacchi aerei, trasformato in aiuola sormontata da un’opera in cemento realizzata da un artista locale, Guido Mollo.

    Ma qualcosa verso il recupero della memoria storica si sta muovendo. Lo dimostra una nuova sensibilità verso il passato da parte dell’Amministrazione comunale e il successo dell’opera teatrale “Vittime di guerra” sull’eccidio ad Acquappesa, messa in scena dalla Compagnia della Rosa.

     

    Francesca Rennis

     

     

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