Cosenza – Rende: fusione si, fusione no

Avviare la discussione, analizzare le diverse opzioni in campo, produrre report da mettere a disposizione della pubblica opinione, coinvolgendo sin dalla prima fase cittadini e forze sociali

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    L’impressione è che oggi ci sia molta confusione sul tema,  in un clima acceso tra opposte tifoserie.

    Partiamo dal principio che uno  studio di fattibilità sui pro e contro dell’ipotesi fusione di due o più  comuni dovrebbe essere usato,  per aprire il dibattito sul territorio, all’inizio del percorso e non alla fine, e ciò  per permettere un doveroso processo partecipativo ed alimentare il conseguente dibattito,  che potrebbe sicuramente concorrere alla definizione di un vero progetto finale, maggiormente condiviso e quindi più positivamente praticabile.

    Nel programma elettorale che abbiamo presentato agli elettori di Rende nel 2014 , così si legge: “l’area urbana Cosenza – Rende, per le sue caratteristiche, rappresenta l’aggregazione più importante del Mezzogiorno d’Italia tra Napoli e Catania”.Quest’area è in grado di coniugare storia, presente ed innovazione.

    E’ evidente, però, che l’area urbana deve risolvere importanti problemi, tra i quali, al primo posto, c’è quello dei trasporti (PIANO DI BACINO – METROPOLITANA LEGGERA).

    Dunque, una vera e propria  FASE COSTITUENTE DELLA FUTURA  CITTA’

    Le Amministrazioni  di centro-sinistra hanno lavorato nel passato  per dotare Rende di infrastrutture e servizi di qualità (scuole, chiese, parchi, Università),  con un tessuto urbano armonico ed equilibrato, con una programmazione territoriale ed urbanistica che guardasse oltre Campagnano.

    Una “politica” non di “campanile”, ma proiettata verso scenari futuri di “possibile coesione” con i territori limitrofi.

    Il Parco Acquatico, la Metropolitana leggera rappresentano gli ultimi tasselli di una visione unitaria del territorio ed assegnano alla Città di Rende un ruolo di primo piano nell’area urbana Rende – Cosenza.

    Nell’ultima riunione del Consiglio Comunale di Rende, non mi pare che ci sia stata la consapevolezza e l’orgoglio di tutto ciò.

    La relazione introduttiva del Sindaco Manna non ha fornito indicazioni di prospettiva, né ipotesi organizzative di studio ed elaborazione di proposte, su cui coinvolgere i cittadini di Rende ed aprire  un confronto politico-amministrativo con le altre Amministrazioni interessate.

    E’ sembrato di capire che la più importante, se non l’unica, ragione della scelta della Città Unica, fosse riferita ai soli vantaggi economici di tale operazione.

    Manca la discussione sulle questioni di fondo;   non si palesa il coinvolgimento, attraverso specifici tavoli di studio, delle minoranze e delle Categorie Economiche e Sociali.

    Prevale il marketing politico, ovvero la “vendita” senza se e senza ma  del prodotto “comune unico”.

    Non si tratta di essere “idealmente” contrari a priori alla fusione di comuni come risposta all’eccessiva frammentazione amministrativa che caratterizza l’Italia (più del 70% degli 8.100 comuni ha meno di 5.000 abitanti) ed alle conseguenti inefficienze e perdita di capacità di governo. Ma ci è anche molto chiaro che per processi complessi di questo tipo non basta l’ottimismo della volontà o manifestazioni di intenti o soluzioni astratte.

    Da quello che abbiamo potuto leggere in questo poco tempo ci pare che non si approfondiscono i nodi critici e ci si  limita a presentare prospettive astratte in merito alle soluzioni organizzative ed a suggerire alcune possibili piste di lavoro, senza la presentazione di un vero e proprio “piano industriale”, senza quantificare l’impiego di risorse necessarie (economiche, umane, organizzative) e le modalità e tempistiche di implementazione.

    Va anche detto che nelle unioni, i singoli Comuni collaborano ma restano autonomi. Nella fusione, al contrario, l’identità dei singoli Comuni coinvolti è cancellata e si costituisce un nuovo Comune per fusione dei precedenti che scompaiono”;  nelle unioni “i singoli Comuni possono decidere di uscire, costituirne di nuove o entrare in altre Unioni già esistenti”, mentre “le fusioni sono irreversibili.

    Uno degli argomenti più volte utilizzato nelle discussioni per sostenere il comune unico richiama il ruolo propedeutico dell’esperienza dell’Unione dei comuni. E’ un tema che merita qualche riflessione aggiuntiva. E’ infatti certamente vero che l’esperienza dell’Unione dei Comuni costituisce una “palestra” per più ambiziosi livelli di integrazione, sino alla fusione degli stessi comuni interessati.

     Ma forse non basta il dato in sé dell’Unione. Occorre invece considerare il “peso” che essa ha in termini di funzioni e di  servizi gestiti.

     Se è giusto che le esperienze di Unione vengano considerate propedeutiche alla fusione di comuni è altrettanto importante che la gestione associata abbia già raggiunto un buon livello di esercizio consolidato, rispetto a cui la costituzione del comune unico possa davvero configurarsi come il completamento di un percorso progressivo piuttosto che come un “grande balzo” (con le incertezze che ne conseguono).

    Ultima considerazione. La legge regionale  9/2016 ha modificato (in stretto dialetto, ha «sturciato») l’art. 44 della legge n. 13/2013 in materia di fusioni di Comuni., ove si è arrivato addirittura alla solita disciplina dall’assurdo costituzionale.

     A prevalere nel voto referendario è la «maggioranza dei voti complessivi dell’intero bacino».

     Come dire, gli elettori di un Comune che registra la maggioranza assoluta dei votanti obbligherebbe (alla faccia dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione!) gli altri – intendendo per tali i cittadini degli altri comuni, ancorché dissenzienti – ad essere annessi forzatamente nel nuovo comune.

    E per finire un cenno a come ci si è comportati  nei paesi dell’Europa.

    La Germania ha fuso i comuni nell’immediato dopoguerra, la Francia ha scelto la via delle Unioni di Comuni. La Francia ha la miglior amministrazione pubblica del mondo, la Germania ce l’ha di ottimo livello ma tornasse indietro non seguirebbe la strada della fusione, ma quella delle unioni, come è stato d’altra parte documentato da alcuni studi della comunità europea al riguardo. La Spagna ha scelto una via intermedia, le province trasferiscono le loro competenze ai comuni tutte le volte che i comuni si associano in unione e raggiungono una soglia minima. Tutti, proprio tutti, hanno scelto di accompagnare i processi di aggregazione con autonomia finanziaria (perché senza risorse si può fare forse poesia ma non sviluppo di un territorio) ma soprattutto con competenze e poteri aggiuntivi (e questo non costerebbe niente anzi sarebbe il vero risparmio). 

     Enrico Crispino

    Presidente Circolo PD di Rende

     

     

     

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