Quelle coccole abbandonate. In sala parto

Storia di Paola oggi mamma ma ieri figlia in cerca di sua madre

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    Quelle coccole abbandonate. In sala parto. Ieri come oggi, i numeri dell’abbandono di neonati in ospedale è sempre alto. Le statistiche “raccontano” di donne fragili, di persone che si sentono inadeguate ad “allattare” amore, di ragazze, spesso sole, con situazioni difficili alle spalle o con storie affettive “precarie”. Ma quello che illustrano i dati e disegnano le analisi e le percentuali non valgono come alibi. Indipendentemente dalle motivazioni di fondo, abbandonare un neonato che, per nove mesi, hai tenuto in grembo, è un gesto crudele. E, spesso, la giustificazione del “lo faccio perché merita una vita migliore”, non diminuisce le responsabilità, né lava le coscienze.

    Paola oggi è una giovane mamma, ma per tanto tempo è stata una figlia, in cerca di sua madre. In cerca di quella donna che l’aveva messa al mondo. La storia di Paola è forse uguale, forse diversa, forse simile a quella di tanti altri figli e figlie, lasciati in una culla termica. Innocenze in “fasce”, lasciate in un “grembo” artificiale che gli facesse da mamma. Proteggendoli dal mondo, ma non dal dolore di un distacco. Di pelle, di cuore, d’anima. Un distacco che, Paola, si porta dietro da tutta una vita come una calcificazione ossea. Paola, oggi ha 35 anni, è sposata felicemente e da un anno e mezzo è mamma di una meraviglia di nome Gaia. La 35enne, appena disse il suo “’ngue” al mondo, fu lasciata da sua madre. Di sua madre, per anni, ha saputo solo il nome e il colore dei capelli.

    Nulla, sul suo cognome, nulla sua sua vita, nulla sul suo passato. Nulla sul perché l’avesse lasciata lì. Da sola. E Paola, per anni, quella madre assente, se l’è immaginata, se l’è sognata e ha sperato di trovarsela davanti. Non per urlarle la sua rabbia o “sventolarle” la sua condizione di figlia abbandonata, ma solo per sapere cosa o chi l’avesse costretto a rinunciare a lei. E, perché. Adele, la donna che s’è presa cura di Paola, dandole amore e affetto moltiplicato per compensare quell’assenza “biologica” e quel “richiamo” di sangue, della mamma di Paola ha sempre saputo tutto. E, ha sempre saputo che Paola era nata da una scappatella. Una relazione, più di passione carnale che di amore romantico, che la donna (Roberta, ndr) aveva avuto con un suo collega di lavoro.

    Sposato e con due figli. Ma in quegli anni, in cui si consumava la tresca, l’apparenza, allora come oggi, era tutto. E questa gravidanza Roberta se l’era vissuta da sola. Perché quell’uomo, tanto virile tra le lenzuola, così come altrettanto fragile, nei suoi elegantissimi blazer blu, di “accollarsi” una figlia non ne aveva alcuna intenzione. Men che meno gli interessava mantenerla, garantirle un futuro o sostenerne crescita e studi. Roberta, il giorno del parto, si fece accompagnare da Adele e forse fu proprio quel giorno che le due donne, forse per solidarietà femminile, forse per un gesto d’amore, forse per un atto di fede, forse per un inno alla vita, strinsero un patto. Segreto. Roberta sarebbe partorita e sarebbe sparita.

    E, Adele si sarebbe presa cura di quella creatura “concepita” da due esistenze. Tanto fragili, quanto egoiste. Paola solo tanti anni dopo, ha conosciuto la verità e ha cercato, riuscendoci, di mettersi in contatto con Roberta. Ed è stata proprio Adele a favorire l’incontro. “Non ho odio, rancore o rabbia nei confronti di Roberta. Non ce la faccio – dichiara Paola – e, forse, non ce la farò mai a chiamarla mamma. Roberta l’ho perdonata, perché senza perdono non si va da nessuna parte. Senza perdono, non si guarisce. Senza perdono, non si vive bene. Non so nulla di mio “padre”, non mi interessa. Basterebbe poco per “rovinargli” la vita, così come potrei fargli pagare con gli interessi il “peso” di un’assenza e il “mutuo” di solitudine genitoriale che ho contratto e che sto pagando. Con un tasso altissimo. Per perdonare Roberta, ho pensato prima da madre e poi da figlia. Devo tutto ad Adele, lei è mia madre. So che il suo sangue non ha alleli genetici compatibili con i miei, so che non le somiglierò mai, so di non essere figlia di un grande amore, ma so che Adele, mia madre, ha un cuore grande. E, in quella “culla”, c’ho vissuto, ci sono nata, ci sono vissuta, mi ci sono allattata e ci vivo. Ieri, oggi, sempre”. Paola, che storia. Di cuore, di grandezza e di forza. E, di perdono.

    Carmine Calabrese

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