Mamma, voce del verbo proteggere

LE STORIE DI COSENZAINFORMA Francesca ha perso la sua bambina. Ma non ha smarrito il suo senso di madre

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    di Carmine Calabrese

     

     

    Mamma per scelta, mamma per fede, mamma per amore, mamma per voglia, mamma per vocazione. Mamma, non c’è dubbio, è la parola più bella del mondo. Mamma è una frase magica, è un suono melodico, è un canto romantico, è una carezza tenera, è uno sguardo accogliente, è una mano che stringe e protegge.

     

    Mamma è anche sinonimo di gioia, serenità, entusiasmo, forza, bene, resistenza, resilienza e vita. Mamma è l’incubatrice delle speranze, mamma è la culla del perdono, mamma è il profumo della festa, mamma è l’infinito del cielo, mamma è l’immensità del mare. Mamma è la porta santa dell’esistenza.

     

    Ma, purtroppo, troppo spesso, la cronaca nera e giudiziaria, ci ricordano che ci sono mamme (vedi Anna Maria Franzoni, vedi Veronica Panarello, o vedi, alle nostre latitudini e longitudini, Daniela Falcone e Giovanna Leonetti che, spinte dalla depressione o vittime di carnefici e spietati disequilibri mentali, umorali, ormonali, esistenziali, finiscono per rinnegare la sacralità di essere mamma e la santità di essere madri e “macchiano” la meraviglia di un dono, sporcandolo con gli schizzi di morte o con “pennellate” di aggressività. 

     

    Decidere di spezzare un “patto” di protezione, contratto con chi è venuto al mondo, diventa un gesto disumano e freddo, quasi come declinare il verbo “recidere”. Sì, recidere un legame con la spontaneità, con l’ingenuità, con la speranza, con il futuro, con l’amore.

    Anna Maria, Veronica, Daniela, Giovanna, sono diventate, di colpo, donne “disconnesse” dall’affettività, slegate dal buon senso e “svuotate” interiormente da un demone che ne ha divorato l’empatia e ne ha smembrato ogni lembo di umanità.

    Sono diventate “partorienti” di brutalità, sono diventate “puerpere” di debolezze e di malvagità. Sono diventate casi di cronaca da sbattere in prima pagina, sono diventate “streghe” da dare alle fiamme, sono diventate “mostri” da abbattere. Sono diventate casi giudiziari.

     

    Con loro, a volte, la giustizia è stata tenera, comprensiva, compassionevole. Altre volte, non è andata così. E, quella stessa legge, per loro e con loro, non ha avuto né atteggiamenti di pietà, né segni di rimorso.

    E, le ha condannate, giudicate, colpevolizzate. Ma, tanto nell’uno, tanto nell’altro caso, le assoluzioni, così come le condanne, non sono state decise da uomini e donne con indosso la toga. Ma, sono state e sono proprio queste donne che, ogni giorno e per il resto della loro vita, sono, diventano e diventeranno gli inflessibili giudici di se stesse.

    Condannate o assolte, non dalle leggi di un codice, non dalla concretezza di un’arringa, non dai convincimenti di una perizia, ma da se stesse e dalla loro coscienza.

    Ci sono, per fortuna, mamma e madri che, anche se la vita, le ha spezzato un sogno, anche se l’esistenza, in un impeto capriccioso, le ha scippato di mano quel dono, le ha negato la gioia di un abbraccio, le ha private della bellezza di una carezza o le ha rigato il volto con solchi di tristezza e rughe di impotenza, hanno deciso, ha scelto, hanno preteso, hanno voluto, hanno giurato, di restare madri e di rimanere mamme.

    Con la vita e per la vita. 

     

    Proprio come Francesca, coraggiosa e combattiva 30enne che, grazie alla forza della fede, grazie alla robustezza del suo carattere, grazie all’amore di suo marito (Riccardo, ndr), grazie all’affetto di amici, conoscenti e parenti e grazie al sostegno e all’accoglienza del gruppo di auto muto ascolto “Parole in ConTatto”, è rimasta mamma di cielo e di terra per quella sua bambina, Giulia Pia, attesa per 9 lunghi mesi e venuta alla luce “spenta”. Francesca, dopo 30 settimane speranze, sogni, immaginazioni, felicità, ha seppellito sua figlia, tumulando il suo dolore di mamma “spezzata”, ma non il ricordo di quella figlia che ancora porta con se, che ancora le tiene compagnia.

     

    Francesca, come altre, è una donna simbolo della maternità, ha scelto di rimanere mamma, ha deciso di darsi una seconda opportunità. Francesca ha vinto.

    Ora è madre di un bimbo di 5 anni. L’inferno di Francesca è iniziato il sei luglio del 2011. E’ iniziato dopo 14 interminabili ore di travaglio, “rotte” solo dal cesareo. Francesca solo il sette luglio, riuscì a vedere sua figlia, ad accarezzare quel corpicino senza vita. Quella bimba era bellissima e lo è ancora, nei ricordi di Francesca e Riccardo.

    Quel viso dolcissimo, quell’odore splendido, quei ciuffi neri, resta “vivo” e “respira” nel cuore, nell’anima, nei pensieri, negli occhi, nella bocca, nei sorrisi di questa mamma e questo papà, rimasti genitori dentro.

    E, nella spontaneità di quel bimbo di 5 anni che conosce tutto di sua sorella. E, sa che è un angelo e lo protegge. Dall’alto. Da un altrove bellissimo. Francesca è rimasta mamma. L’ha fatto con la vita, per se stessa e per la vita. E, forse, l’ha fatto anche per chi, prima di lei, non è riuscito a farlo.

     

     

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