‘Ospedali da campo calabresi’

LA DENUNCIA In una notte tutto il meglio della malasanità nostrana

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    Se malauguratamente vi dovesse capitare di entrare in un pronto soccorso del Tirreno cosentino, quello che potreste vedere somiglierebbe molto a un ospedale da campo di una qualsiasi Ong in territorio di guerra.

    Dal racconto di un paziente: lunghi tempi di attesa, barelle e poltrone tra un separé e l’altro. Può capitare poi di assistere anche a scene particolarmente tristi, come quella che ha visto protagonista un’anziana sofferente, la quale, stremata dalla malattia e dal dolore, si è allungata tutta intera su una panchina. Solo al richiamo forte di qualcuno dei presenti, la porta finalmente si è aperta e l’anziana è stata fatta accomodare con altri in una stanza attigua, perchè al momento posti nei reparti non ce ne erano. Avrebbero dovuto trascorrere in quelle condizioni l’intera notte, tra barelle, poltrone, cateteri volanti e flebo traballanti.

    Nella più totale e indecorosa delle pomiscuità, quella in cui trattieni i lamenti, il vomito, il pianto, perchè dai fastidio ad altri tre o quattro disperati come te, quella in cui eviti di chiamare una volta di troppo il personale, perchè anche gli infermieri e i medici sono spesso vittime con i pazienti di questo cattivo sistema, quella che ti farebbe volentieri scappare via, solo se non avessi un ago conficcato nella vena o un catetere nella vescica a ricordarti che sei solamente un fottutissimo malato, di cui la sanità italiana non ha alcuna pietà.

    Negli ospedali del sud, quelli ancora rimasti aperti, sono tutti eroi, dal portantino al dirigente medico; quotidianamente, sfidano le regole e le necessarie procedure di profilassi, non per imperizia o superficialità, ma perchè il personale è sottodimensionato, spesso demotivato e stressato. Non credo faccia piacere neanche a loro tornare a casa dopo il lavoro, sapendo di aver lasciato gli ammalati una notte intera su una poltrona o una barella, assistiti dai parenti, costretti a loro volta su una sedia.

    Se per una volta entrasse in uno di questi luoghi dimenticati la persona che decide, fa e straccia leggi, taglia fondi o li dà con troppa facilità, se per una volta dovesse trascorrere in quello stato una notte vicino a un suo caro sofferente, se per una volta provasse a immedesimarsi anche in chi lavora tutti i giorni in questa trincea – il giovane, che parte scoraggiato per non poter dare il meglio della sua professionalità, il meno giovane che ricorda perfettamente l’era delle vacche grasse – forse si lascerebbe sopraffare dalla vergogna. Ma il fatto è che esistono ospedali di serie A e di serie B, idem per i reparti o le camere, ed è improbabile che uno di quelli capiti, di sera, in un pronto soccorso di un ospedale da campo in territorio di guerra calabrese.

    Tania Paolino

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