INCUBO ANORESSIA

E' un problema, un serio disagio psicologico. Ma si può guarire. Maria Francesca ce l'ha fatta

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    COSENZA – A tavola con … il nemico. Non è il titolo di un appassionante serial televisivo di genere thriller, è la storia di Maria Francesca G., 32 anni, rossanese di nascita, coriglianese d’adozione e domiciliata a Cosenza per motivi di studio e di lavoro, prigioniera per un paio d’anni di uno spietato sequestratore: l’anoressia. I segni delle catene della prigionia sono ancora ben evidenti sul corpo della ragazza, riuscita a sfuggire al suo “sequestratore” silenzioso dopo un lungo periodo di psicoterapia. Maria Francesca, occhi verdi e grandi, coperti da occhiali scuri che le fasciano il viso, quasi a voler nascondere quel dolore non ancora cancellato, ha i capelli lunghi, il fisico longilineo e un sorriso che ha voglia di ritornare ad illuminarle il volto. Con profonda dignità, estremo coraggio e tanta voglia di liberarsi di un peso, la 32enne si racconta e racconta, senza mostrarsi in volto, al taccuino del cronista la sua difficile esperienza con l’anoressia. “Dobbiamo prendere consapevolezza che, purtroppo, l’anoressia non è solo una malattia, da cui per fortuna, si può guarire ma, è soprattutto, un disagio psichico. Cadere nella sua trappola è facile, soprattutto se si è fragili. Ho scoperto l’anoressia all’incirca due anni e mezzo fa. Mi guardavo allo specchio e mi sentivo a disagio con me stessa. Quello stesso disagio che è diventato il mio carceriere. Ero convinta che non piacendomi, non potevo piacere anche agli altri. Il mio periodo buio è coinciso con l’arrivo della bella stagione. Pensare di indossare tenute leggere o, peggio ancora, la classica tenuta da mare per scendere in spiaggia, era diventato una specie di incubo. Qualcosa di talmente grande che mi toglieva persino il sonno e mi induceva in uno stato di fragilità psicologica che riuscivo a combattere chiudendomi in stanza e cercando di allontanare le mie paure indossando le cuffie e ascoltando la musica ad alto volume. Mia madre e mio padre si sono accorti subito che qualcosa dentro di me non andava. L’interruttore nevralgico del mio status era andato in corto circuito. Più di una volta i miei hanno provato a capire cosa mi tormentasse. Ma io – ricorda Maria Francesca – non volevo parlare. Le mie risposte erano evasive e piene di rabbia, soprattutto perché mi rendevo conto di avere a che fare con un problema con me stessa. Un disagio che mi tormentava e di cui avevo paura. Mi sentivo vittima e carceriere di me stessa”. La 32enne, mentre si racconta prende il telefono nella borsa e mostra le foto del suo passato. “Ecco cos’ero diventata – dichiara guardando quell’immagine di se immortalata in un click – ero come suol dirsi ”pelle e ossa”. Le foto che parlano del suo disagio raccontano di una ragazza scavata nel viso, con gli occhi rossi, gonfi di pianto e con profonde occhiaie, segno delle sue notti insonni e della sua non alimentazione. “Non riuscivo a capire perché tutto questo stesse capitando a me, ne parlai a lungo con il mio medico di famiglia. A volte lo tempestavo di telefonate per chiedergli aiuto, quella parola che, forse più che per vergogna che per paura, non riuscivo a pronunciare davanti ai miei. Il mio medico mi disse che da questa malattia non si guariva con una semplice terapia farmacologica. Per guarire, oltre ai farmaci ci vuole non solo la consapevolezza di avere un problema ma anche la voglia di liberarsene. Ecco che allora decisi di fare il grande passo, facendomi aiutare da chi realmente poteva farlo. Quel passo l’ho fatto e oggi sono consapevole della mia forza ritrovata, ho fatto pace con il cibo e ho ripreso a guardarmi allo specchio e mi piaccio. Credere in me stessa mi ha aiutato a rafforzare anche il rapporto con gli altri, soprattutto con i miei genitori e gli amici che non mi hanno mai fatto mancare il loro affetto, la loro vicinanza e m’hanno trasmesso tanto coraggio”. Anche se questa brutta storia è passata Maria Francesca nel raccontarsi e raccontare la sua esperienza vuole lanciare un messaggio a tutti coloro che – come dice lei, forse più per vergogna che per paura – vivono o convivono con questo disagio psichico, facendosi schiacciare dal peso dell’anoressia. “Non abbiate paura di ammettere che qualcosa non vada nel corpo, nella mente e nello spirito. La capacità di accorgersi di avere un problema grande e pericoloso come l’anoressia o come le altre forme di disordine alimentare non è un punto di debolezza, anzi è l’esatto contrario: è di forza. Quella nostra forza interiore che ci spinge a vivere”. Ora Maria Francesca ha un altro sogno. Il più desiderato dalle donne: diventare mamma. Siamo sicuri che con la sua grinta ci riuscirà. In bocca al lupo. (Carmine Calabrese)

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