Cloe Grano, l’attesa infinita di un verdetto. Di giustizia

L'inchiesta sul decesso della piccola bimba di appena quattro mesi, va avanti

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    La porta della giustizia, resta a perta. Quella della speranza, spalancata. Per fare entrare la verità. Ordine del gip. Il giudice per le indagini preliminari, Francesco Luigi Branda, ha deciso: l’inchiesta sul decesso di Cloe Grano, va avanti. Continuerà fino alla verità, continuerà per la verità. Il gip Branda, infatti, nel corso dell’udienza preliminare, calendarizzata per accogliere o meno la richiesta di archiviazione, avanzata dalla Procura della Repubblica di Cosenza, ha deciso che le perizie, troppo contrastanti tra di loro, e le varie, troppe, tante incongruenze, emerse durante tutta la fase investigativa e giudiziaria, vanno “limate”, vanno risolte. Al più presto. E, con una nuova inchiesta. Una nuova inchiesta che vedrà, ancora una volta, sul banco dei “cattivi”, sedere i sei medici, iscritti nel registro degli indagati. Un’inchiesta nuova, una nuova speranza di verità, accolta con commozione dai genitori della piccola Cloe. Dino Grano e sua moglie Edyta, vogliono giustizia, cercano verità. Non hanno sete e fame di vendetta. Ma solo trovare una conclusione giudiziaria giusta, un verdetto che gli permetta, finalmente, di sapere chi, come e perchè, non possono più da quel lontano e meledetto aprile del 2014, abbracciare e sorridere alla loro piccola, volata via troppo in fretta. Volata in cielo, appena quattro mesi dopo essere “scesa” sulla terra.

    IL CALVARIO – Quel dolore “grida”. Giustizia e verità. Dino ed Edyta Grano, i genitori della piccola Cloe, hanno smesso di vivere. Hanno imparato a sopravvivere. Troppo doloroso, troppo devastante, troppo innaturale, per due genitori continuare a vivere, senza quella figlia, quell’angioletto venuto al mondo come un dono e appena quattro mesi dopo strappato alla vita. Una vita “recisa”, dalla malasanità. Una vita spezzata per sempre. E da allora, dal giorno della scomparsa, Dino ed Edyta non solo stanno facendo i conti con un’assenza insopportabile, ma anche con i silenzi della giustizia. Un silenzio che devasta, quasi come un dolore. Dino ed Edyta Grano, sin dal decesso della loro figlia, non hanno mai avuto dubbi: Il loro angioletto è stato ucciso. Dalla malasanità. Da quell’equipe medica del Reparto di Pediatria dell’Annunziata, che hanno avuta in cura la piccola e non hanno capito la gravità delle sue condizioni di salute e, peggio ancora, secondo il loro deciso atto d’accusa, l’hanno “ammazzata”. Per incapacità e leggerezza. Per quel decesso, come dicevamo, sono finiti sotto accusa quattro medici cosentini: due pediatri e altrettanti chirurghi pediatrici. Per i genitori di Cloe, la loro figlia poteva essere salvata. Sarebbe bastato operarla, rimuovendo quell’invaginazione intestinale acuta (cioè l’attorcigliamento dell’intestino, ndr), considerata abbastanza frequente tra i lattanti.

    IL FILM DELLA TRAGEDIA: MORTE E RICORDI, ACCUSE E GIUSTIZIA – La piccola Cloe Grano, un angioletto di appena quattro mesi, non c’è più. E’ spirata, nell’aprile di due anni fa, all’ospedale “Santobono” di Napoli, dov’era arrivata in condizioni gravissime. Seppur travolti da questa immane tragedia, seppur devastati da questa improvvisa perdita, seppur consumati interiormente ed esteriormente da questo tragico evento, Dino ed Edyta, papà e mamma di Cloe, decisero di donare gli organi della loro figlia, permettendo così ad altre famiglie di poter vedere guarire i propri figli, gravemente ammalati. Un gesto d’amore, un dono, un inno di vita. Un inno che non attenua minimamente l’intensità del dolore, troppo grande. Cloe, dal giorno dell’espianto, sta continuando a vivere in altri bambini. Prima di essere trasferita d’urgenza presso il nocomomio campano, i genitori della piccola, avevano accompagnato Cloe al prontro soccorso pediatrico dell’Annunziata. Era stata, quella dell’aprile del 2014, una settimana difficile. Addirittura in solo giorno, erano entrati ed usciti, ritornati e andati via ben quattro volte. Ogni volta con lo stesso verdetto: nulla di grave. Non era vero. Cloe era grave, gravissima. Talmente grave che il suo cuoricino ha smesso di battere. Non ce la faceva più nemmeno a lottare. Era stata ripresa, era stata “riportata in vita”, ma stranamente rispedita a casa. Senza un perchè, senza un parere medico. “I medici – dice Dino Grano, con gli occhi gonfi di commozione e di rabbia – ci avevano rassicurato, ci avevano detto di poterla riportare a casa. Io non mi rassegnerò mai alla perdita di mia figlia. A Cloe – dice ancora, tenendo forte una sua foto tra le mani – ho fatto una promessa: non mi arrenderò. Voglio sapere perchè è morta mia figlia, voglio sapere chi l’ha uccisa”. Subito dopo il decesso, Dino ed Edyta, sono corsi presso il commisariato del Vomero, per denunciare l’accaduto. “Abbiamo dato mandato – continua – ai nostri legali di fiducia di attivarsi presso la Procura della Repubblica di Cosenza per l’apertura di un’inchiesta. “Voglio la verità. La morte di mia figlia, non deve passare in silenzio. Voglio sapere se il caso di Cloe è stato affrontato dal personale medico del reparto di Neonatologia con troppa superficialità”. Dino Grano, allora, come ancora oggi, stringe un’infinità di carte fra le mani. Mentre parla, le arrotola, le stringe, con talmente tanta forza da quasi polverizzarle. E’ lì dentro la verità della morte di sua figlia. La sua attenzione si concentra su un particolare specifico. “Quando Cloe è arrivata al “Santobono” di Napoli, i medici, dopo averla a lungo visitata e tenuta sotto stretta osservazione, hanno deciso di portarla in sala operatoria per estrarre quel pezzettino di intestino infetto, causa del suo malessere. Perchè non è stato fatto lo stesso a Cosenza?. Perchè i medici dell’Annunziata, c’hanno rimandato a casa, rassicurandoci che era tutto a posto? Perchè?. Ripeto, non avrò pace, fin quando non avrò risposte a tutte queste mie domande”. Nonostante il dolore, Dino ed Edyta, ritengono doveroso ringraziare tutti quelli che gli sono stati vicini: “un sincero grazie al prefetto Tomao, un immenso ringraziamento a tutto il personale medico, paramedico ed infermieristico del reparto di rianimazione pediatrica del Santobono di Napoli, diretto dal primario Raffaele Testa, nonché un ringraziamento ai poliziotti del commissariato del Vomero, per l’umanità, la vicinanza e l’affetto che ci hanno fatto sentire in questo tragico evento”.

    Carmine Calabrese

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