Depuratori: per la Procura di Paola c’è “frode nella gestione”

La vicenda riguarda il monitoraggio degli impianti del territorio, in particolare quelli di Cetraro. L’accusa è a carico dell’imprenditore D'Ambrogio

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    È giunta a una prima significativa conclusione la spinosa vicenda che riguarda il monitoraggio degli impianti di depurazione del territorio, in particolare quelli di Cetraro, nonché il loro corretto funzionamento, la loro corretta gestione e il conseguente corretto smaltimento di rifiuti speciali. La Procura di Paola ha, infatti, chiuso l’indagine a carico dell’imprenditore Teodoro D’Ambrogio, titolare dell’omonima ditta, con sede a Corigliano Calabro, che gestisce gli impianti di depurazione della cittadina tirrenica, uno, il più vecchio, situato in località “Sottocastello”, l’altro, di recente costruzione, situato in località “Santa Maria di Mare”, ipotizzando per lui l’accusa di “frode nell’esecuzione della gestione degli impianti e di smaltimento illecito di rifiuti speciali”. In particolare, nel corso dell’inchiesta della Procura paolana, condotta dall’Ufficio ambiente della stessa Procura della Repubblica di Paola e dagli uomini dell’Ufficio circondariale marittimo di Cetraro, su delega del procuratore capo Bruno Giordano, è stato accertato che mancano all’appello circa 240 tonnellate di fanghi della depurazione, mentre sono stati rinvenuti ben 100 metri cubi abbandonati all’interno degli impianti. Secondo gli stessi inquirenti, i fanghi sarebbero stati prodotti sia nel vecchio impianto di località Sottocastello, sia nel nuovo depuratore di Santa Maria di Mare. Sempre secondo gli investigatori, infatti, nel periodo compreso tra il 27 giugno 2014 e il 19 maggio 2015, nell’impianto di località Sottocastello “si smaltivano solamente 18 tonnellate circa, mentre risultavano nel letto di essiccamento 80 metri cubi e circa 10 tonnellate del trattamento delle acque reflue urbane che il predetto impianto doveva produrre nel periodo verificato. All’appello mancherebbero, sui 200 metri cubi stimati di produzione teorica, circa 100 non smaltiti. In tal modo, per effetto dell’inadempimento, venivano a mancare le opere necessarie alla depurazione e il servizio risultava inidoneo rispetto alla sua funzione”. Di contro, “nel nuovo impianto di località Santa Maria di Mare le tonnellate di fanghi smaltite risultavano essere solo 10, mentre la produzione teorica era di 150 tonnellate”. Pertanto, la Procura di Paola sospetta che questi fanghi, ritenuti altamente pericolosi per l’ambiente e la salute umana, siano stati rilasciati direttamente in mare, attraverso le condotte sottomarine che servono gli impianti. Un’ipotesi da dimostrare, ma che certamente focalizza ancora una volta l’attenzione su quello che, in questi ultimi anni, ha rappresentato un grave problema non solo per Cetraro, ma per tutti i centri del Tirreno cosentino, vale a dire la mancanza di un corretto smaltimento dei fanghi di depurazione, un problema che, del resto, proprio nello scorso mese di luglio, ha fortemente messo in evidenza Legambiente, nel corso di una meritoria iniziativa svoltasi proprio a Cetraro, presso il Centro Velico “Lampetia”, dove era presente la sua storica imbarcazione “Goletta Verde”. Durante un incontro, intitolato “I fanghi di depurazione: la storia continua – A che punto è la depurazione in Calabria?”, Legambiente aveva, infatti, presentato alcuni interessanti dossier dedicati, appunto, ai fanghi di depurazione, sottolineando che era oltremodo necessario “Recuperare subito i gravi ritardi nell’attuazione delle opere di adeguamento ed efficientamento degli impianti di depurazione calabresi, aumentare i controlli sia sulle acque trattate che sui fanghi. I fondi ci sono e vanno spesi bene e subito per non compromettere ulteriormente la qualità del mare, vera grande risorsa di questa terra”. Secondo Legambiente, pertanto, bisogna “Portare a termine la vera grande opera pubblica di cui necessita la Calabria: l’attento monitoraggio degli impianti di depurazione esistenti, il loro corretto funzionamento e un programma di interventi di efficientamento e adeguamento, che permetterebbe una volta per tutte di uscire dall’emergenza depurativa che rischia di compromettere irrimediabilmente una delle maggiori risorse di questo territorio”. All’incontro erano intervenuti Aldo Perrotta, membro del Comitato scientifico di Legambiente Calabria, Luigi Sabatini, direttore di Legambiente Calabria, Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, Angelo Aita, sindaco di Cetraro, e Giuseppe Aieta, presidente della II Commissione Bilancio della Regione Calabria. Secondo i numeri raccolti nel dossier di Legambiente, “la Regione Calabria ha una potenzialità nominale complessiva di depurazione pari a 2.786.725 abitanti equivalenti su un totale (dati Istat) di 3,7 milioni, cioè il il 75 % del totale. Un dato che però si abbassa notevolmente se si analizza la reale capacità di trattare adeguatamente gli scarichi, secondo gli standard previsti dalle normative europee. Stando ai numeri dell’Istat (Censimento delle acque di giugno 2014 con dati al 2012) ad essere trattati in maniera adeguata è il 51,5% del totale del carico generato. Criticità che si ritrovano anche nel quadro delineato dall’ultima procedura d’infrazione aperta nei confronti dell’Italia che comprende anche 130 agglomerati calabresi, il 62% del totale regionale, per un totale di circa 1,3 milioni di abitanti equivalenti (ovvero il 36%). Condanne e procedure che, stando alle stime dell’unità di missione del Governo Italia Sicura costerebbero alla Calabria, a partire già da quest’anno e fino al completamento degli interventi di adeguamento richiesti, 38 milioni di euro. Oltre l’adeguamento degli impianti rimane anche il problema del loro sottoutilizzo. Infatti dall’analisi dei dati forniti alla Regione Calabria emerge che alcuni impianti risultano utilizzati in maniera molto ridotta”. Il dossier di Legambiente si poneva anche un altro obiettivo importante, vale a dire proprio quello di far luce sulla questione dei fanghi di depurazione, su cui ancora oggi c’è una scarsa conoscenza e poca chiarezza nella loro gestione. “Il controllo delle quantità di fanghi prodotti e il loro smaltimento legale è la condizione indispensabile per l’eliminazione di uno dei problemi più rilevanti che ritroviamo nei nostri mari – aveva dichiarato Aldo Perrotta, del comitato scientifico di Legambiente Calabria – La domanda che ci poniamo è questa: che fine fanno quei fanghi che non vengono denunciati? La mancanza di informazioni sulla quantità di fanghi prodotta crea di conseguenza anche una mancata trasparenza sulla loro gestione, sugli impianti di destinazione finale, dando adito a fenomeni di trattamento e smaltimento illegali che inquina il nostro ambiente sia esso il terreno o il mare circostante”.

    Clelia Rovale

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