Delitto Pezzulli: un omicidio senza colpevoli

Assolto anche Cicero. Crolla tutto l'impianto della Dda

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    E “Micuzzo” si ritrova con la fedina “smacchiata”. Da un omicidio. Domenico Cicero, considerato uno dei capi incontrastati della mala cosentina, è stato assolto, con formula piena, dai giudice d’Appello, per l’omicidio di Carmine Pezzulli. I giudici del “secondo grado”, accogliendo in pieno le argomentazioni difesive degli avvocati Francesco Chiaia, Alessandra La Valle e Marco Stefano, legali di fiducia del “dominus” di Cosenza Vecchia, hanno, infatti, “cancellato” la condanna a 30 anni, inflitta al boss in primo grado, confermata nel primo processo d’Appello e “annullata” in precedenza dai giudici della Suprema Corte che, nelle motivazioni dell’annullamento, avevano disposto un nuovo secondo grado per Cicero. Secondo l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro, rappresentata dal pm antimafia Raffaella Sforza, “Micuzzo” sarebbe stato il mandante dell’omicidio di Carmine Pezzulli. Le “certezze” dell’accusa, poggiavano anche sulle “cantate” di cinque pentiti che, intenzionati a far pace con lo Stato e pronti a saltare la staccionata dei cattivi, per entrare nel runch dei buoni, avevano “piazzato” Cicero sulla scena, affidandogli il ruolo di mandante. I pentiti, cinque come detto, Oreste De Napoli, Vincenzo Dedato, Francesco Amodio, Angelo Colosso e Francesco Galdi, sono stati considerati tutti poco credibili dai giudici. Anche da quelli della Cassazione. Gli avvocati di Cicero, in tutte le udienze dei processi fin qui sostenuti, hanno messo, sempre, in discussione l’attendibilità dei pentiti. E, che soprattutto, Dedato, (l’ex contabile delle cosche, ndc) e Amodio (l’autista dei clan, ndc) avevano “battezzato” Cicero come mandante dell’omicidio di Pezzulli, per fargliela pagare. Per punirlo. Ma, il secondo processo d’Appello, ha detto anche altro. Ha detto, innanzitutto, che l’omicidio di Carmine Pezzullo, ritorna ad essere un delitto di mafia, da classificare come irrisolto. Oltre a Cicero, infatti, i giudici dell’Appello, hanno “smacchiato” dall’omicidio anche Francesco Chirillo, considerato dall’Antimafia catanzarese un altro mandante e Davide Aiello, quello che, sempre secondo la pubblica accusa e i racconti delle “gole profonde”, avrebbe ucciso Pezzulli. In un agguato. Non solo. Davide Aiello, nei mesi scorsi, ha anche presentato più di un’istanza di revisione del processo a suo carico, non solo per dimostrare la sua estraneità dalle accuse a suo carico, ma anche per chiedere allo Stato un sostanzioso risarcimento, per l’ingiusta detenzione subita. Da innocente.

    L’AGGUATO – Carmine Pezzulli, considerato da tutti un “picciotto” intenzionato a fare “carriera” nell’esercito dell’Antistato, aveva smania di soldi e potere. Una smania che, però, gli sarà fatale. Pezzulli, infatti, raccontano le “cronache criminali” prese, senza autorizzazione, la “bacinella” del clan, fuggendosene con il malloppo delle cosche. Ottocento milioni di lire, proventi di rapine, spaccio di droga, estorsioni, spariti. Di colpo. Uno “sgarro” che andava punito. E, con severità. La spietata “legge” dei clan, non ammette errori. Chi sbaglia paga, con la vita. E, senza possibilità di appello. Né, con “revisione” del processo. Una volta accertato che lo sgarro era stato fatto proprio da Pezzulli, venne decisa (ma da chi?, ndc) la sua condanna a morte. L’azione venne pianificata nei minimi dettagli. Davide Aiello, come detto, considerato l’esecutore materiale, ma scagionato da due processi e da tante prove a suo favore, secondo l’accusa avrebbe studiato abitudini e movimenti di Pezzulli e, il 22 luglio del 2002, sarebbe stato “affiancato” da due sicari in moto e ammazzato, mentre all’interno della sua auto, una Fiat Panda, era su via “Sergio Cosmai”, fermo ad un semaforo. Rosso. Come il sangue che macchiò l’utilitaria e la strada. Contro Pezzulli, furono sparati undici o dodici copi di pistola. Sparati a ripetizione. Sette andarono a segno, fulminando Pezzulli all’istante. Poi le indagini, poi i riscontri investigativi, poi le piste giudiziarie, poi le “cantate”, poi le inchieste, poi i “bisbigli” di aspiranti collaboratori di giustizia e di ex malavitosi, intenzionati a “convertirsi” per ottenere il perdono dalla giustizia e la protezione dallo Stato, hanno portato ad arresti eccellenti. Tra i quali, proprio, quelli di Cicero, Chirillo e Aiello. Poi tutti assolti. Come “Micuzzo”.

    Carmine Calabrese

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