FOCUS: ‘Rettore, non laureiamo i mafiosi!’

Un vero appello quello che lancia attraverso Cosenzainforma.it Spartaco Pupo , docente di Storia delle dottrine politiche all'Unical

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    A proposito di “dignità” dei mafiosi in carcere, ci sono detenuti condannati all’ergastolo e in regime di alta sicurezza che si laureano nelle nostre università pubbliche, con tanto di corona d’alloro, fiori, pasticcini, applausi, complimenti da parte dei professori e dei rettori, flash di fotografi e telecamere di giornalisti.

    Capita purtroppo anche in Calabria, terra ad alta intensità mafiosa. Potrei comprendere le ragioni etico-giuridiche che stanno alla base della rieducazione di un carcerato per reati “comuni” e meno gravi, ma non di quanti si sono macchiati di omicidi di mafia. Il mafioso non è un criminale qualunque, e se non riconosciamo questo sacrosanto principio, rischiamo seriamente di vanificare il sacrificio di gente come Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, Impastato, ecc. Mi chiedo come faccia un ergastolano condannato al carcere duro, che in teoria non può avere alcun contatto col mondo esterno, a iscriversi all’università, pagare le tasse, sostenere gli esami, addirittura andare a laurearsi nella stessa seduta degli studenti “normali” che attendono il giorno della laurea come il coronamento di un sogno e si ritrovano costretti a condividerlo con laureandi mafiosi e agenti di polizia al seguito.

    Come è possibile che costoro arrivino in seduta di laurea in atenei dove è obbligatoria la frequenza delle lezioni e dei corsi per tutti gli studenti? Che tipo di deroghe ci sono e perché? Quali permessi speciali si ottengono e da chi? Chi vigila sulla trasparenza e la legittimità di questi processi? Quale rispetto può avere per le vittime dei reati di mafiosi una repubblica che con una mano li condanna al carcere duro e con l’altra li laurea “in nome del popolo italiano”? Quale educazione alla giustizia, alla libertà, alla democrazia e all’antimafia ricevono i nostri giovani da simili iniziative istituzionali?

    Capita che quelli che criticano i preti che celebrano i funerali dei mafiosi siano magari gli stessi che applaudono i professori che li laureano. Che senso ha prendersela allora con la Chiesa che benedice un cadavere e applaudire lo Stato che gli conferisce una laurea a chi ancora vivo e vegeto e non si è mai pentito? È una delle tante bizzarrie italiane.

    A confronto i baciamano di San Luca e gli inchini delle madonne calabresi, che tanto scandalo giustamente destano e vanno stigmatizzati con forza, sono quisquilie. E pensare che proprio ieri il procuratore antimafia Gratteri, che stimo molto, è venuto a parlare nella nostra università e ha duramente criticato la sentenza della Corte Costituzionale su Riina, forse ignaro del fatto che in quell’aula dove sedeva qualche giorno fa sono stati proclamati dottori alcuni mafiosi condannati al carcere duro. È davvero grottesco. Occorrerebbe capire se dietro certi conati di buonismo e garantismo di facciata, pagati profumatamente con soldi pubblici, si muovano regie particolari o se si celano – a livello non solo locale – giri d’affari intorno a progetti su fondi comunitari o regionali, che coinvolgono associazioni, personale delle carceri, professori universitari e avvocati che, con la scusa della rieducazione ottengono benefici o intascano migliaia di euro alla faccia dei morti ammazzati, del dolore delle loro famiglie, del senso di giustizia, delle sentenze dei tribunali e delle giornate del ricordo delle vittime della mafia.

    Credo sia giunto il momento di fare chiarezza. Personalmente ho avuto modo di parlare e scrivere di quest’argomento con gli addetti ai lavori della mia università, ma invano. Credo, inoltre, che ci sia un problema di libertà da garantire a quanti, come il sottoscritto, proprio non se la sentono di partecipare alla formazione universitaria dei mafiosi. Manca una legge che disciplini la materia anche al fine di non lasciare troppa discrezionalità in sede locale, ma sembra che la questione non interessi nessuno, neanche le associazioni antimafia, pronte a farsi sentire spesso su problemi meno urgenti. Rivolgo pertanto un accorato appello al rettore della mia università, sperando vivamente che questa presa di posizione pubblica non abbia effetti ritorsivi sulla mia persona e sulla libertà di pensiero e insegnamento mia e dei tanti colleghi che la pensano come me, anche se non trovano il coraggio di manifestarlo: laureare i mafiosi, caro magnifico rettore, non dovrebbe rientrare nella missione civilizzatrice di una università, specie in un territorio come la Calabria, e riabilitare con tanto di titolo legale i condannati in sede definitiva, e non pentiti, per gravissimi reati di mafia, non solo è diseducativo per i nostri giovani, ma è una vittoria della mafia”.

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