Neonata da otto mesi in neonatologia, in tanti vorrebbero adottarla

La psicologa Giovanna Tripicchio: “Opportuno intervenire per garantire equilibrato sviluppo, senso di autostima e sicurezza interiore”

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    Senso di vicinanza e desiderio di intervenire con l’adozione o con l’affido. Sono in tanti a manifestare sollecitudine e solidarietà nei confronti della piccola che da quando è nata, otto mesi fa, vive nel reparto di neonatologia dell’ospedale di Cosenza. I timori riguardano soprattutto la crescita psico-fisica della bambina in un ambiente non famigliare, ma istituzionalizzato. E seppure permangono domande senza risposta sul fatto che non sia stata ancora adottata, ci chiediamo quale influenza possano avere questi mesi in ambiente ospedaliero sulla crescita psico-fisica del bambino. Di questo ne abbiamo parlato con Giovanna Tripicchio, psicologa dell’Età evolutiva, esperta in Psicologia del comportamento alimentare e Benessere psicofisico che, citando la teoria dell’attaccamento di Bowlby, considera la fondamentale importanza per ogni essere umano di avere persone di riferimento stabili e sicure.

    «E’ ormai chiaro – ci ricorda la psicologa – che la persona fidata fornisce sicurezza. La capacità di sviluppare relazioni umane d’attaccamento è soprattutto importante durante la crescita/sviluppo del bambino e non solo. Il bambino sin dalla nascita è capace di instaurare relazioni e svolge un ruolo attivo nel delimitare il suo rapporto con il caregiver (adulto di riferimento). Il bambino è da subito implicato in uno scambio interattivo e si mostra in grado di controllare i suoi comportamenti attraverso meccanismi di feedback con le persone che interagiscono con lui. Quando l’adulto di riferimento non è presente, è incostante, poco disponibile o non lo è affatto, i comportamenti del bambino falliscono continuamente ed è conseguentemente indotto a sviluppare ‘’piani difensivi’’ non sempre funzionali. Sperimentare, dunque, un attaccamento insicuro è motivo di rischio per la costruzione di solide basi della personalità dell’individuo; i bambini con attaccamento sicuro chiariscono i problemi evolutivi in modo adattivo, mentre quelli con attaccamento insicuro spesso presentano difficoltà (es. minor forza dell’io, competenza sociale limitata, eccessiva dipendenza). I bambini necessitano di essere approvati dalle figure di riferimento e sentono il bisogno di sviluppare un senso di appartenenza; solo in questo modo riescono a mettere in atto comportamenti adeguati e sani che gli permettono di adattarsi ed integrarsi nell’ambiente circostante. 

    Nel caso in esame, a mio avviso, parliamo di reali ‘’mancanze’’ che a lungo termine potrebbero innescare meccanismi malsani nella creatura. Credo sia opportuno intervenire ai fini di un corretto ed equilibrato sviluppo, garantendo così un adeguato senso di autostima e sicurezza interiore per una sana crescita». La bambina non è stata riconosciuta dalla madre alla quale l’ospedale ha garantito l’anonimato sulla base del DPR 396/2000, art. 30, comma 2, che non parla di abbandono, ma proprio di non riconoscimento da parte della madre del nascituro, prevedendone l’adozione fin da subito. Un’importante distinzione, quella tra abbandono e non riconoscimento, perché tale normativa favorisce la vita contro l’aborto e forme selvagge di abbandoni che possono mettere a rischio la vita del nascituro. Tante le richieste inoltrate al giornale per capire come adottarla in tempi stretti e prendersene cura, che non trovano ancora risposta perché è stato invocato il silenzio stampa. In generale chi ci legge si chiede: «Perché non se ne parla? Chi può avere interesse a tenere una bimba in ambiente ospedaliero? Possiamo fare qualcosa?» e ancora: «Sono disposta ad adottarla o prenderla in affido».

    Francesca Rennis

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