Giovanni e Maria Grazia, storia di un amore sfinito dalla gelosia e finito dal piombo

Contrada Santa Rita, popoloso quartiere di Montalto Uffugo, epicentro di un efferato fatto di cronaca nera, è ancora sotto shock

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    Amore e psiche. Affetto e gelosia. Passione e pentimento. Promesse e fragilità. Contrada Santa Rita, popoloso quartiere di Montalto Uffugo, epicentro di un efferato fatto di cronaca nera, dove il potere dell’amore e la violenza della morte, sono deflagrati in tragedia, è ancora sotto shoch. E, continuerà ad esserlo, ancora per tanto. L’omicidio di Maria Grazia Russo, condannata a morte dal marito Giovanni Petrasso, con tre colpi di pistola, quegli stessi colpi che Giovanni ha esploso contro se stesso, come espiazione di colpa e punizione personale, rendono la tragedia, ancora più grande. Ancora più drammatica, ancora più incomprensibile. Il demone della gelosia, s’era impossessato della mente della 48enne ed aveva finito per infettare la serenità familiare di quella coppia, ritenuta da tutti perfetta e da esempio. Quella gelosia, deflagrata come una sepsi, aveva indebolito il sistema immunitario della passione; aveva contaminato il midollo spinale dell’amore; aveva contagiato il concentrato piastrinico della fedeltà, aveva reso fragili le promesse di Giovanni e le certezze di Maria Grazia. Nemmeno quella lettera-confessione, scritta dal 53enne a sua moglie, nella quale, Giovanni Petrasso, confidava alla 48enne la sua fragilità di uomo caduto nella trappola di un’infatuazione, passeggera, per un’altra donna, era servita a ristabilire i valori della normalità nella quotidianità della coppia. Giovanni, con la mano ferma e con la penna, intinta nell’inchiostro e nel pentimento, aveva ripromesso fedeltà eterna a sua moglie, aveva rinnovato la sacralità di quell’unione, impreziosita dalla nascita di due figli, davanti a Dio. Ma, evidentemente, Maria Grazia Russo, ferita nell’orgoglio di donna, di moglie, di confidente, di amante e violata nella santità della famiglia, quella sbandata di suo marito, non era proprio riuscita a dimenticarla. A superarla, a bypassarla. Come, non riusciva a metabolizzare quella continua presenza di Giovanni sulle chat. Maria Grazia, forse, credeva, pensava, supponeva che quelle conversazioni di suo marito, affacciatro a quella finestra virtuale, fossero evasioni dalla realtà, fughe da quell’unione. Forse la 48enne c’ha provato, forse s’è davvero impegnata a riuscirci. Ma, senza alcun risultato. Sì, perchè, per quello che sta emergendo dall’epicentro della tragedia, dentro quella casa, le liti, le discussioni, gli scatti di gelosia, gli sbalzi d’incomunicabilità, le frizioni tra Giovanni e Maria Grazia, erano continui. Erano all’ordine del giorno. L’aria, dentro quella casa, era così elettrica che una parola non detta o un’espressione facciale in più, scatenava la scintilla del nervosismo. E, quella mattina di due giorni fa, quella scintilla è riesplosa in casa. Quella scintilla, deflagrata nel bagno, ha sconvolto l’impianto d’accensione della mente di Giovanni, mandandolo in tilt. L’agente di polizia penitenziaria, ancora in aspettativa per una questione di salute, ha fatto fuoco contro sua moglie, accanendosi contro di lei, come come un bersaglio del poligono di tiro. Un colpo al petto, uno all’addome, un altro alla testa. Una scarica di piombo, letale, fredda, inumana, anaffettiva. Brutale e violenta. Una sequenza di piombo, esplosa senza pietà. Quella stessa pietà che ha avuto per sua figlia, invitandola a ritornare nella sua camera, ma non ha concesso a se stesso. Giovanni Petrasso ha fatto fuoco contro se stesso. Forse per senso di colpa, forse per vergogna, forse per disprezzo. Troppi, tanti forse che raccontano di una tragedia. Che parlano di un amore, sfinito dalla gelosia, sfiancato dai sospetti, lacerato dalle fragilità e finito nel piombo e nel sangue.

     

    Carmine Calabrese

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