Uccise sua figlia: assolta Giovanna Leonetti per incapacità di intendere e volere

Una sentenza che difende e vendica due vittime, entrambe indifese, entrambi innocenti... entrambe sole

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    di Carmine Calabrese

     

    Un verdetto di non colpevolezza e di pietà, umana e giuridica. Una sentenza che non mette d’accordo la legge con il buon senso. Una sentenza che fa discutere. Una sentenza che ha due colpevoli.  Silenziosi. La depressione nascosta e il mal di vivere. Una sentenza che, condanna due “killer” ma difende e vendica due vittime, entrambe indifese, entrambi innocenti, entrambe sole: una, la piccola Marianna, uccisa dalla madre a soli sette mesi, l’altra, sua madre Giovanna che, rimarrà, per sempre imprigionata, nella fredda cella di un rimorso. Incancellabile, inappellabile, invalicabile.

    Sono appena passate le 16, quando nell’aula del giudice per le udienze preliminare, il gup Giuseppe Greco, nel nome del popolo italiano, assolve Giovanna Leonetti, la biologo 38enne, macchiatasi del più brutale dei delitti: quello di sua figlia, soffocata con un cuscino. Per il gup, Giovanna, non può e, soprattutto, non deve andare in carcere.

    Per il gup, la biologa non è responsabile penalmente di quello che ha fatto. Giovanna, non è un’assassina. E’ solo una donna fragile, dal temperamento debole, dalla mente confusa, dalla personalità incerta e dall’indole passiva. Giovanna, è una donna prigioniera di un demone. Quello stesso che il 20 febbraio del 2016, (l’omicidio avvenne nella tarda mattinata, in un lussuoso appartamento di via Molinella, ndr) mandò in corto circuito l’interruttore nevralgico della sua psiche, trasformandola in un killer e “commissionandole” l’omicidio di sua figlia. Per il gup di Cosenza,

    Giovanna non merita di stare in un carcere, né in nessuno altro posto, contraddistinto da sbarre e da isolamento dal mondo e dalla realtà. Giovanna ha bisogno d’amore, di comprensione, d’affetto, di cure e di carezze.

    Più che di medicine o di sentenze. Giovanna, dalle 16 di oggi è una donna libera. Forse non in pace con se stessa, sicuramente con il cuore spezzato, con l’anima devastata e con il cordone ombelicale reciso. Non solo tagliato di netto con sua figlia, con la voglia di vederla crescere e con il desiderio di insegnarle a diventare grande. Giovanna, ha reciso il cordone ombelicale con la sua stessa vita, con la sua felicità, con suo marito e con la felicità. La sentenza è arrivata al termine di un lungo iter giudiziario, fatto di perizie, segnato da incarichi e “vivisezionato” da numerosi consulenti. Tutti, proprio tutti, hanno ispezionato, abitato, vissuto nella mente di Giovanna e nella sua personalità.

    I periti Sartori e Petrini, scelti dagli avvocati Marcello Manna e Pierluigi Pugliese, legali di fiducia della Leonetti, hanno certificato la totale incapacità di intendere e di volere della biologa 38enne. Una valutazione che si è scontrata con i risultati delle perizie di Mastronardi, consulente della Procura. Secondo l’analisi della “strizzacervelli” dell’accusa, la biologa era affetta una un parziale deficit mentale che, al momento del fatto e anche dopo, la rendeva colpevole. Di omicidio, ma anche di premeditazione.

    Giovanna Leonetti, fino a poche ore dal pronunciamento della sentenza che, le restituisce la libertà e la “riabilita” come mamma, è stata ricoverata in una struttura psichiatrica di Putignano. Sarà la sua famiglia, a decidere se tornerà in quella struttura o a casa sua. Tra i ricordi, le fotografie e i rimorsi. Di una vita finita, di una interrotta. E, di una da cui ricominciare. Come donna, come mamma e come figlia.

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