La classe operaia va in paradiso

Tutti assolti, anche in appello per il processo sulla ex Marlane di Praia a Mare

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    “Lavoratori, buongiorno. La direzione aziendale vi augura buon lavoro. Nel vostro interesse, trattate la macchina che vi è stata affidata con amore. Badate alla sua manutenzione. Le misure di sicurezza suggerite dall’azienda garantiscono la vostra incolumità. La vostra salute dipende dal vostro rapporto con la macchina. Rispettate le sue esigenze, e non dimenticate che macchina più attenzione uguale produzione. Buon lavoro”.

    L’annuncio, dallo stile orwelliano, era il buongiorno e il buon lavoro dato dall’azienda agli operai nel film di Elio Petri, La classe operaia va in paradiso. Un titolo che sottolineava all’epoca l’alienazione vissuta dai salariati in ambiente lavorativo, quando ancora le morti bianche venivano taciute o misconosciute. L’operaio andava e va in paradiso davvero, invece, perchè di lavoro si moriva e si continua a morire e, ieri come oggi, i responsabili se la cavano sempre, almeno in questa vita.

    Quando nel 2010 la Procura di Paola aprì un’inchiesta sulla Marlane di Praia a Mare, dietro le spinte degli operai dello Sla e del Si Cobas e l’impegno degli ambientalisti del Tirreno cosentino, il timore che tutto finisse in una bolla di sapone c’era già tutto, perchè si trattava di materia scottante e scomoda: si parlava della Marzotto, non di una qualunque azienda di provincia, si rischiava di farla chiudere, si dovevano fare nomi e cognomi, si tiravano in ballo persone conosciute, paesani, si rinvangavano fatti noti a chi in fabbrica lavorava, di cui si vociferava in paese, ma che era meglio non raccontare per il bene di tutti. Praia a Mare aveva avuto il suo boom economico, l’indotto aveva fatto il resto, insieme con la Pamafi e altre piccole realtà imprenditoriali. Tiravano più queste ancora che il turismo. Probabilmente fu la grande manifestazione nazionale contro le navi dei veleni, tenutasi ad Amantea nel 2009, a convincere il procuratore Giordano Bruno ad aprire un’ inchiesta, suffragata dalle denunce degli operai e dei loro familiari già presenti in Procura. Furono questi stessi operai e i loro familiari, affiancati dal giornalista ambientalista Francesco Cirillo, a costituirsi parte civile e ad intervistare Francesco de Palma, il quale, prima di morire di tumore, spiegò come avveniva l’interramento dei rifiuti tossici.

    Questa intervista non fu mai visionata nè utilizzata nelle udienze del processo di primo grado. Ma le stesse cose le aveva dette anche Pietro Pacchiano e con probabilità le sapevano i circa 107 operai morti di tumori in questi anni. Quello che è accaduto dopo è cronaca giudiziaria, di cui si parla forse più nel nord Italia che in Calabria. Ora, l’assoluzione anche in appello cancella parole, inchiostro e denaro, spesi per denunciare o archiviare. Praia a Mare tira un sospiro di sollievo, perchè la società civile non ha mai completamente accettato il processo, altrimenti ci sarebbero stati più costituzioni di parte civile.

    Ci si deve rimettere all’esito dell’appello, ma troppi lati oscuri rimangono nella vicenda e un altro filone d’inchiesta è stato aperto. Imperizia, superficialità o dolo finiscono per essere sepolti con i presunti veleni, il terreno finalmente tombato e adibito ad altro, l’azienda delocalizzata, chi è vivo farà finta di dimenticare, chi è ancora molto giovane troverà questa materia negli archivi dei tribunali e dei giornali. Quando si sentirà parlare di altre situazioni come queste, accadute altrove, magari ci si scandalizzerà e si griderà contro chi sfrutta il lavoro altrui. Intanto la classe operaia già in paradiso sarà coperta dalle chiacchiere sugli operai che, in malattia d’estate, aprivano i lidi, su quelli che avevano doppio lavoro, su chi ha una “pensione d’oro” e, dopo aver curato un cancro, sta meglio di chi non lavorava in fabbrica. Una brutta storia in ogni caso, giustizia fatta o meno; buona parte di un paese incapace di stringersi attorno alle vittime, leggendo nelle loro denunce solo interesse a strumentalizzare una malattia a scopo pecuniario, lo stesso interesse rinfacciato a certa stampa o sindacato. Un caso montato ad arte, insomma, avente come risultato la fine di un’esperienza produttiva in Calabria, quando la nostra regione rappresentava la meta della delocalizzazione di imprese nordiche, prima che venisse soppiantata in questa scelta industriale dalle nazioni dell’est europeo. La classe operaia va in paradiso, ma intanto il paradiso terrestre costiero ce lo siamo pure bruciato. 107 lapidi nel cimitero di Praia a Mare, che rappresentano la distanza tra chi è dentro e chi è fuori una fabbrica, come tra chi è dentro e fuori un cimitero.

    Tania Paolino

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