Rossano, uccise il padre: Vitale lascia il carcere

Il 37enne parricida, trasferito in una comunità riabilitativa. L'omicidio avvenne la sera del 25 dicembre


La giustizia sa essere protettiva. Come una mamma. Perdonando anche chi sbaglia. Provando a comprendere anche chi porta ancora sull’anima gli schizzi di sangue innocente. La storia che leggerete, è quella di un grave fatto di sangue. E’ quella di una sera di Natale, “macchiata” dal sangue di un padre che è zampillato sul vischio, cancellandone il verde di speranza. E’ quella che racconta di un figlio, forse depresso, forse disperato, forse “illuminato” solo da chissà quale intermittente luce nella testa che, gli ha fatto imbracciare un fucile, facendo fuoco contro il genitore. E’ la storia di Cesare Vitale, fino al 25 dicembre del 2017, un anonimo ingegnere di 36 anni, dalla vita apparentemente normale che, di colpo, è cambiata, facendolo diventare “mostro”, affibbiandogli l’etichetta infamante di parricida e lasciandolo diventare un nome in neretto, fino sul libro dei cattivi. Cesare Vitale, da due giorni, ha lasciato il carcere. Ma, non ha scontato la sua pena. Ha solo cambiato percorso. Il dolore, il rimorso, la colpa, l’accompagneranno sempre. Gli faranno compagnia, per sempre. Da due giorni, l’ingegnere è stato trasferito in una comunità riabilitativa. Continuerà lì, il suo cammino di redenzione. Questo è quanto ha deciso il gip (giudice per le indagini preliminari, ndc) del tribunale di Castrovillari, davanti al quale s’è svolto un lungo ed articolato incidente probatorio. Il cambio di percorso detentivo, è anche un successo dell’avvocato Francesco Nicoletti che, in sede di arringa, ha “disinnescato” la presunta pericolosità sociale del suo cliente. L’omicidio, come detto, avvenne nella sera del 25 dicembre del 2017. Cesare Vitale, abitava in uno stabile, nello stesso in cui viveva suo padre. Quella sera, i decibel nella testa dell’ingegnere 37enne, erano alti. Troppo alti. Tutto iniziò con una lite. Una delle tante, una di quelle classiche che succedono in ogni famiglia. Solo che, quella lite tra Cesare e Giuseppe Vitale, detto Tonino, fui diversa dalle altre, da tante altre. I due, infatti, dopo aver “sparato”parole, facendole esplodere come raudi, ritornarono nelle loro abitazioni. Ma, la miccia in testa di Cesare Vitale, era ancora accesa. L’ingegnere, entrato in casa, ha preso un fucile, legalmente detenuto, e ha fatto fuoco. Uno, due colpi, sparati a bruciapelo. Sparati, a ripetizione. Giuseppe Vitale, stimato come uomo, come lavoratore, come padre, come uomo di casa, ha visto tutto. S’è reso conto che la morte, quella sera avrebbe impedito di suonare la gioia della festa, la melodia del Natale, la magia della vita. E’ s’è accasciato al suolo, morendo dissanguato. Nell’immediatezza del fatto, gli inquirenti e la magistratura disposero il sequestro dei due appartamenti, quello del fucile e il fermo del 37enne, portato in caserma ed ascoltato per tutta la notte. Il resto l’hanno fatto i Ris, le perizie balistiche, gli irripetibili accertamenti scientifici. Tutti, hanno inchiodato Cesare Vitale alle sue responsabilità. Fino all’ingresso in carcere. Ora, il trasferimento in comunità. Per cominciare, chissà se è vero, un’altra vita.

Carmine Calabrese