Civita, tra disperazione e domande si cerca la verità

Ancora troppe incognite sulla tragedia del Raganello

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    Il giorno del silenzio. Civita e le sue meraviglie naturali, si sono riscoperte fragili. La tragedia del Raganello ha fatto piombare tutti nella paura. Una paura, con la quale dal primo pomeriggio del 20 agosto, si è costretti a convivere. La “puzza” della morte e della disperazione contamina l’aria. È un odore acre, fastidioso, insopportabile. Un odore che stringe la gola. Un odore che devasta le pupille, rosse e piene di lacrime. Di rabbia, di dolore, di preoccupazioni. Il giorno che è iniziato è identico agli ultimi due appena trascorsi. Un nuovo giorno, pieno di domande, di perché, di se, di ma e di però. Un’infinità di domande, inattesa di risposte. Certe, efficaci, esaustive. Risposte necessarie per capire, spiegare una tragedia. Una tragedia, su cui sta indagando la Procura della Repubblica di Castrovillari, una tragedia che è sul tavolo di esperti, di geologi, di tecnici. Il fascicolo, aperto dal procuratore capo Eugenio Facciolla, per il momento, è contro ignoti. Ignoti, a cui dovrà essere dato un nome, un ruolo una responsabilità. Civile e penale. E, peggio ancora, morale. Perché quello che è successo nel primo pomeriggio del 20 agosto, non succeda più. Mai più.

    Sotto la luce dei riflettori sono finite le guide – il presidente del Parco del Pollino, Domenico Pappaterra, – s’è affrettato, non certo per scarico di responsabilità, a specificare che chi guidava il gruppo di escursionisti, non è una guida ufficiale del Parco. Il massimo responsabile dell’area protetta del Pollino, davanti a microfoni e taccuini, ha inoltre, precisato che la gestione del Parco non ha alcuna responsabilità sulla gestione delle gole, men che meno sulla questioni degli accessi. Tanti, troppi. Una precisazione, istituzionalmente doverosa, che, però, non basta a chi è sopravvissuto non serve a chi in quelle “gole” ha perso pezzi di famiglia e ha visto travolti serenità e sorrisi, così come non aiuta chi lotta in ospedale tra la vita e la morte.

    Come cronisti, siamo, deontologicamente, obbligati alla ricostruzione cronologica, senza lasciarci andare a valutazioni personalistiche o a considerazioni di “pancia”. Ma, crediamo anche che alcune domande, vadano fatte. Gli escursionisti, erano stati adeguatamente informati che le “gole” potevano diventare trappole? O ancora, chi ha guidato l’escursione, sapeva dell’allerta meteo? O anche, possibile che tra gli escursionisti, per come raccontato dai tanti soccorritori, ci fossero persone anche bambini, non adeguatamente “corazzate” per un’esperienza del genere? Sarà la magistratura a chiarire tutto questo. Nell’attesa delle risposte, resta la “puzza” della morte ma anche il profumo del coraggio. Il coraggio di tutti coloro che, non solo per mestiere ma per “vocazione” hanno messo la loro vita al servizio di chichiedeva aiuto. A squarciagola.

    Carmine Calabrese

    Mafalda Meduri

     

    Foto di Michele Inserra

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