‘Comprata’ a 14 anni, condannata a 21

Uccise il suo marito-padrone. Assunta Casella è stata "punita" dai giudici d'Assise e di Appello

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    Da sposa bambina a cieca assassina. La vita di Assunta Casella, nativa di Verbicaro, è stata un inferno. Un inferno, iniziato all’età di 13 anni. Un inferno, in cui è rimasta intrappolata, per quasi tutta la vita. Un inferno, da cui ha cercato di uscire, nell’unico modo che conosceva: uccidere. Uccidere, il suo demone. Uccidere, e liberarsi dalle catene di una prigionia. Mentale, fisica, psicologica, morale. Assunta, così dopo una vita vissuta da vittima, ha trovato la forza per trasformarsi in carnefice. Un carnefice spietato. Assunta, diventata “sposa” ad appena 14 anni, era ancora una bambina, quando i suoi genitori la vendettero per cinquecentomila lire. Tanto, valeva la sua vita. Tanto “costavano” i suoi sogni, le sue speranze. Cinquecentomilalire, un contratto e una stretta di mano. I genitori di Assunta, impiegarono appena dieci minuti per “svendere”, la loro figlia, acquistata da un allora 18enne che, voleva farla sua.

    La voleva come donna, come moglie, come schiava. Era il 1972. Quel ragazzo, dopo averla comprata, la portò con lui in Piemonte. Lei, ragazzina dall’aria triste e dai sorrisi spenti, sperava che la sua vita potesse cambiare. Sognava una vita migliore, sognava un lavoro, sognava una famiglia. Che le volesse bene, che le regalasse carezze, che la riempisse d’attenzioni e di affetto. E, invece, ha ricevuto solo sberle, solo violenza, solo parole cattive, solo gesti odiosi. Quell’uomo che, “comprandola”, divenne proprietario della sua vita, della sua verginità, del suo futuro, amore non gliene diede mani. Men che meno carezze, ancora meno comprensione. Assunta, divenne un oggetto, un feticcio sessuale. Una “bambola” di 14 anni, con cui divertirsi, con cui giocare in maniera perversa. Una “bambola” da gettare per strada, come un rifiuto. Da “vendere” su un marciapiede al miglior offerente. Assunta, per 46 anni, ha vissuto un inferno.

    Quarantasei anni, in cui non ha conosciuto un giorno, un solo giorno, pieno di rispetto e di sorrisi. Pieno di compassione e di affetto. Un solo giorno, colorato dalla normalità. Assunta, arrivata all’età di sessant’anni, ha detto basta. Ed è così che in una giornata di giugno del 2016, ha deciso di riprendersi la sua vita, ha scelto di “stracciare” quel contratto che la legava a quell’uomo, di diciotto anni più grande di lei, che la comprò. Assunta, ha ucciso il suo carnefice. La sessantenne, condannata sia in primo che in secondo grado a 21 anni e tre mesi di reclusione, secondo la procura della repubblica di Torino e i giudici della Corte d’Assise del tribunale sabaudo e secondo i togati dell’Appello, pianificò il delitto, nei minimi dettagli. Prima sedò suo marito con una dose massiccia di Zolpidem, un potente sonnifero, poi lo soffocò in un noccioleto di Paroldo, paesino del cuneese e, infine, per allontanare da se sospetti e colpe, s’affrettò a raccontare a tutti che quell’uomo l’aveva lasciata, scappando con una giovane amante romena.

    Ma, Assunta, aveva fatto male i suoi conti. Pensava di aver pianificato il delitto perfetto, pensava di essersi guadagnata l’immunità da ogni colpa. Invece, Assunta è finita nella sua stessa trappola. E, quella lunga sete di vendetta da vittima, l’ha trasformata in carnefice. Il pubblico ministero Nicoletta Quaglino, titolare dell’inchiesta, aveva chiesto per lei il massimo della pena. I giudici non hanno avuto pietà, nè umana comprensione. Un omicidio, qualunque sia l’ambito in cui maturi, resta sempre un omicidio. E, come tale, va punito. Come tale, va trattato. Come tale, va punito. Insomma, per Assunta è cominciata un’altra prigionia.

    Carmine Calabrese

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