Shoa, il Mancini-Tommasi e il ricordo di Sergio De Simone

Bellissima iniziativa degli alunni dell’alberghiero. Riflessione sui nuovi “ebrei”

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    Un viaggio all’inferno, un salto indietro nella storia e nella memoria, una vergogna mondiale. Per la storia e per la memoria. Di tutta l’umanità. La settimana che ricorda e condanna la strafottenza disumana del regime nazifascista e la malvagità dell’Olocausto, è caratterizzata da una serie di eventi che servono alle vecchie e alle nuove generazioni, affinché quello che è successo nell’inferno di Birkenau e nei tanti campi di concentramento, non succeda più. Mai più. Oggi, ad esempio, l’istituto alberghiero “Mancini”-“Tommasi”, attraverso la dirigente scolastica, Graziella Cammalleri e la referente dell’iniziativa, Francesca Valentini, ha ricordato uno dei tanti martiri di questa terribile pagina di storia. Una storia, nata, costruita, scritta, dai “demoni” del nazismo che, in nome di una fantomatica salvaguardia della “razza” ariana, condannarono a morte milioni di ebrei, colpevoli solo di essere “diversi” e, dunque, sacrificabili. L’evento odierno, celebrato nel giardino “Sergio De Simone”, è stato toccante, commovente, partecipato. Gli alunni dell’Istituto scolastico, hanno raccontato la malvagità di quel periodo, la disumana indifferenza che alcuni “uomini?”, provarono per altri uomini, sbeffeggiandoli da vivi e da morti. Sergio De Simone, era uno dei bambini, il solo italiano, che venne fatto prigioniero e utilizzato come “cavia” da laboratorio. Venti, furono in tutto i bambini che non sfuggirono a quell’ignobile massacro. Stamattina, nel giardino “Sergio De Simone”, c’erano ragazzi, bambini, mamme, papà, nonni e nonne. Questi ultimi, con ancora negli occhi, i ricordi di quell’orrore. Vissuto, raccontato, letto, ascoltato. Al centro del giardino, giganteggia la foto di Sergio, tenuta in piedi da mazzi bianchi di fiori, belli come la sua purezza, luminosi come quei suoi occhi, spenti solo dalla brutalità.

    SERGIO E IL MASSACRO

    Sergio, come detto, aveva appena 7 anni, quando venne strappato dalle braccia di sua madre e portato, con altri bambini, nella cantina dell’orrore. Sergio, come tutti gli altri sfortunati compagni di “disavventura”, finì vittima degli atroci esperimenti di un dottore nazista, fino a essere ucciso, a dodici anni, insieme con altri diciannove bambini ebrei, nella cantina di una scuola di Amburgo. Bullenhuser Damm, il nome dell’istituto, consegnato tragicamente alla storia per quel massacro. Una mattina del novembre 1944, il famigerato e malefico dottor Mengele, il medico di Auschwitz che condusse esperimenti di eugenetica sui deportati, entrò nella baracca 11. Cercava venti bambini da inviare a Neuengamme, un campo di concentramento a sud-est di Amburgo, dove un altro collega-criminale, il dottor Kurt Heissmeyer, li avrebbe usati come cavie. Arrivati a Neuengamme, attraverso una prima incisione sotto l’ascella, i venti bambini vennero infettati con bacilli vivi della tubercolosi, capaci di scatenare la malattia in forma molto violenta. Tutti ne furono colpiti. Alcuni vennero sottoposti ad altri interventi, tra cui quello per asportare le ghiandole linfatiche. Questi tormenti, accertati da foto e documenti mostrati nel libro, proseguirono fino al 20 aprile 1945 quando, con gli inglesi alle porte, i nazisti si preoccuparono di cancellare ogni traccia. Fu allora che i venti bambini vennero trasportati nella scuola di Bullenhuser Damm. E, nella cantina di quell’edificio, furono impiccati senza pietà.

    La cerimonia, è stata, inoltre, anche l’occasione per confrontarsi e dialogare su una pagina “nera” della storia mondiale che, però, ancora oggi, non ha insegnato nulla. Basti pensare come, ancora oggi, nell’epoca della tecnologia super avanzata, della globalizzazione, ancora la “diversità”, faccia notizia. Faccia clamore. Gli ebrei di ieri, sono i migranti, i poveri, gli omosessuali, i senza tetto, i senza tutto di oggi. Non esistono, per fortuna, le camere a gas ma, esistono ancora le coscienze “nere”, le anime “sporche”, gli sguardi “macchiati” di indifferenza e malvagità che uccidono, come e peggio, dei lager del passato. Quel passato che, ancora, vive e fa paura.

     

    Carmine Calabrese

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