Morì per un’infezione: risarcimento di un milione di euro

Sentenza del tribunale. La giustizia “risponde” dopo otto anni

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    La sanità sale sul banco degli imputati. Ancora una volta. E, per l’ennesima volta, viene giudicata cattiva. La cronaca, tanto nera, quanto giudiziaria, quasi quotidianamente, sbatte il mostro in prima pagina. L’azienda ospedaliera, i suoi vertici manageriali, così come le tante professionalità mediche ed infermieristiche, finiscono nel tritacarne della giustizia, spesso quella ponderata scritta dai giudici, altrettanto spesso, in quella approssimativa e brutale, dell’opinione pubblica che, non lesina disprezzo e colpisce alla cieca, trasformando tutti in cattivi. Nessuno si salva. L’ultima sentenza, emessa dal tribunale cittadino, in nome del popolo italiano, è quella che inchioda l’Azienda ospedaliera alle sue responsabilità, condannandola, per colpa medica, al pagamento di un risarcimento miliardario. Il caso in questione, è quello relativo ad una paziente 50enne, morta prematuramente per i devastanti danni, creati da un’infezione batteriologica, contratta in sala operatoria. Il pronunciamento della verità, è stato scritto dai giudici del tribunale cittadino, riconoscendo valide le argomentazioni degli avvocati Massimiliano e Paolo Coppa, legali di fiducia della donna scomparsa. Il fatto, risale al lontano 2010. Otto anni di lotta, otto anni di invocazione di verità, otto anni di pretese di giustizia. Otto anni di assenza di una mamma, una figlia, un’amica, una sorella che è diventata una ferita incancellabile. Che nessuna cifra, nessun risarcimento, riuscirà a far cicatrizzare. Beatrice, battezziamo così, questa sfortunata 50enne, a cui, secondo questa sentenza, è stata negato il futuro e strappata la vita, nel 2010, finisce in ospedale. La donna, ormai da tempo, fa i conti con uno stato di malessere generale, un calvario di dolori e fastidi. La 50enne, sorretta dalla famiglia, gira, come se fossero sepolcri ospedali, centri specialistici, studi privati. Di tutta la penisola. Ogni consulto, le da una diagnosi, le conforta una speranza, le procura una cura. Ma, nessuna terapia, le garantisce la guarigione. Il tempo passa ma, Beatrice non vede miglioramenti. Le medicine la debilitano. Anche l’ansia e la tensione, aggravano il suo quadro clinico generale. Nel 2010, s’apre una speranza: la soluzione potrebbe essere un delicato intervento chirurgico. In neurochirurgia. L’intervento, racconta la sentenza, emessa dai giudici, è delicato. Alla donna e ai suoi familiari, viene assicurato che questo passaggio obbligato, sarà essenziale per ritornare alla normalità. Beatrice, tira un sospiro di sollievo. Vuole aggrapparsi a quella speranza. La 50enne, entra i sala operatoria. Ne esce diverse ore più tardi. La sedazione di antidolorifici e tranquillanti, somministrati per flebo, le anestetizzano le mialgie. Diversi giorni dopo l’operazione, però, il suo quadro clinico non fa registrare alcun miglioramento. Debolezza, pallore, comparsa di febbre, ne inficiano non solo la stabilità fisica, ne minano, anche, la vulnerabilità psicologica, già messa a dura prova dai sintomi e dal malessere. Beatrice peggiora. La conferma, viene anche da un emocromo. Un altro pesante verdetto: la 50enne è affetta da un’infezione. Scatta il piano terapeutico antibiotico. Ma, anche questo, pare inefficace. Il quadro peggiora, Beatrice anche, fino a spegnersi. Fino a perdere forza muscolare, reattività anche nei riflessi. L’allettamento, la debilita. I familiari, sono sempre più preoccupati. Viene disposto un ulteriore prolungamento di ricovero. Viene riaperta la ferita, per provvedere ad una pulizia dell’infezione. Ma, non basta. Il quadro di salute generale, continua, quotidianamente, a peggiorare. Nell’arco di un paio di giorni, beatrice è costretta a fare i conti con altri mostri che continuano a divorarla: trombosi agli arti inferiori, embolia polmonare, insufficienza cardiaca e respiratoria. Mannaie che si abbattono su di lei, fino a «reciderle» il cordone ombelicale con la vita, con i suoi affetti, con la speranza. Beatrice spira. I familiari, scossi e disperati, chiedono giustizia e pretendono verità. Vogliono capire perchè la loro congiunta non c’è più. Gli avvocati Massimiliano e Paolo Coppa, attraverso la consulenza di loro periti di fiducia, denunciano l’Ospedale, l’azienda, i medici. E’ una battaglia di carte, di perizie, di rimbalzi di responsabilità. Secondo i consulenti di fiducia della famiglia, la 50enne è stata «uccisa» da un batterio contratto in sala operatoria. Di parere opposto, i periti dell’Azienda Ospedaliera: «l’Ospedale non ha colpe, è stata la paziente a portare il batterio in sala operatoria». Nuove perizie, nuove letture delle cartelle cliniche, nuove osservazioni sul percorso clinico della paziente, stabiliscono una verità: c’è una colpa medica. L’Ao deve pagare. Un milione di euro. Così hanno deciso i giudici, in nome del popolo italiano. In nome della verità. In nome della giustizia e del ricordo di Beatrice, ennesima martire di un sistema malato.

    Carmine Calabrese

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