Centro Roberta Lanzino: 40 anni dalla legge 194, norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza

Oltre ai lunghi tempi d’attesa a complicare la situazione è il fatto che l’ AO svolge il servizio IVG in un reparto in cui quasi tutti sono obiettori

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    Quest’anno celebriamo i primi 40 anni della legge n.194. In questi 40 anni spesso e volentieri ci siamo trovate come donne, come attiviste a dover difendere e tutelare il nostro diritto a decidere di interrompere una gravidanza. La criticità della situazione emerge chiaramente dall’analisi dei dati raccolti dall’Azienda Ospedaliera di Cosenza. Gli ultimi disponibili sono quelli del 2015. In particolare, le difficoltà risultano dai lunghi tempi di attesa tra l’ottenimento della certificazione e l’ intervento: solo il 12% delle donne attende un massimo di 14 gg, mentre il 67% attende minimo 22 gg e anche oltre i 29 giorni. E’ evidente la difficoltà di soddisfare una domanda che non è più circoscritta all’area di Cosenza ma si estende anche ai territori circostanti in cui altri punti IVG sono stati smantellati (si pensi al presidio di San Giovanni in Fiore). Ma a complicare maggiormente la situazione è da aggiungersi il fatto che

    L’Azienda Ospedaliera svolge il servizio IVG in un reparto di ginecologia e ostetricia in cui medici, ostetriche, infermiere e anestesisti sono quasi tutti obiettori. Intanto, le IVG si svolgono nell’Ospedale di Rogliano, il che rappresenta un ulteriore aggravio per la donna che deve spostarsi in più luoghi diversi frammentando il suo percorso dalla certificazione all’intervento. Non di rado, date tutte le difficoltà che incontrano, avviene che le donne siano costrette ad abortire fuori provincia o fuori regione. Ugualmente preoccupante è l’assenza, nel territorio della provincia di Cosenza, di somministrazione della RU486, la cosiddetta “pillola abortiva”, raccomandata anche dal Ministero della Salute alla Calabria poiché presenta minori rischi di complicanze, anche psicologiche rispetto alla procedura chirurgica. I percorsi delle donne che decidono di interrompere una gravidanza sono tortuosi, spesso si trovano prive del supporto psicologico di cui necessiterebbero per una decisione consapevole e rispettosa della loro salute.

    Meno di un anno fa abbiamo assistito all’apertura di un punto IVG presso la Clinica Sacro Cuore. In tale occasione, in seguito alle diverse informazioni da noi rinvenute attraverso i mezzi stampa esprimevamo la nostra preoccupazione per l’affidamento di questo servizio a un privato e ci proponevamo di vigilare affinchè si applicasse la legge nel totale rispetto dei diritti delle donne che di quel servizio fruivano. Il direttore dell’Azienda Ospedaliera in data 24 Ottobre 2017 ci rispondeva pubblicamente in una nota, chiarendo che: “Il protocollo d’intesa non nega nessun diritto alla salute, né preclude alcuna facoltà di scelta alle donne che volessero comunque decidere di essere assistite in ospedale. Fornisce semmai un’opzione alternativa, proprio a garantire questo servizio a chi ne avesse bisogno. Le interruzioni di gravidanza chirurgiche, dunque, continueranno ad essere eseguite nel reparto di ginecologia ed ostetricia dell’ospedale di Cosenza” ed anzi si mostrava stupito che “anziché apprezzare ogni azione tesa al miglioramento dell’offerta dei servizi sanitari, questa finisca immancabilmente per essere criticata”.

    E da questa nota ci siamo sentite rinfrancate per un’offerta che doveva ampliarsi quantitativamente e qualitativamente. Eppure, pochissimo tempo dopo, il servizio improvvisamente e senza alcun perché di evidenza viene dismesso e rieccoci nuovamente al punto di partenza con gli enti preposti silenti e paralizzati rispetto all’applicazione della legge in tempi e modi rispettosi della volontà e della dignità della donna, ci troviamo nuovamente a interrogarci sull’esistente e a chiederci: in seguito alla cancellazione di questo punto IVG, cosa il pubblico è in grado di mettere in campo come alternativa? Non ci risulta infatti che ci si sia attrezzati per fronteggiare la carenza di medici da cui nasce il protocollo di intesa con la clinica. Ci chiediamo anche se e come l’Azienda Ospedaliera agisca per la tutela del diritto alla salute psicologica della donna che interrompe una gravidanza. Ci chiediamo, infine, dinanzi alla progressiva erosione dei consultori, come e dove si pratichi la prevenzione dell’aborto e della recidiva. Il nostro timore è che, come spesso accade, questa questione sia rimasta arenata all’interno di un gioco di forze e di influenze politico-economiche che inibisce l’effettività dei diritti delle donne e che, in tutto questo tira e molla, si sia perso di vista il loro interesse e il loro bisogno.

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