Cosenza. Pronto soccorso, un viaggio infinito tra speranza e prossimità

Per tutto l'anno è così. I medici spesso fanno miracoli. Senza mezzi

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    COSENZA – Tra missionari di prossimità, vocazionisti d’altruismo e disservizi organizzativi e gestionali. E’ questa, per almeno gran parte dell’anno, tanto di giorno, quanto di notte, la fotografia che racconta la vita dell’Annunziata. Sia nell’infernale ed intasato inferno dantesco del Pronto soccorso, sia nei corridoi e nelle corsie di tutti gli altri reparti. L’impegno profuso da medici ed infermieri, è davvero inefficace a contrastare gli effetti, ormai patologici, di tutto quello che non funziona nel sistema sanitario cittadino. Affetto, ormai, da malattie diventate croniche ed incurabili. Varcare la soglia d’ingresso del Pronto soccorso, equivale a mettere piede in un mondo parallelo. Da cui, non si sa, quando e come si esce. E, come se non bastasse, alla buona dose di pazienza, di preoccupazione, di perplessità, all’assenza di risposte diagnostiche immediate e di terapie farmacologiche immediate, gli utenti devono anche aggiungere i blackout dei macchinari. Qualcosa di, veramente, inaccettabile.

    Per alcuni aspetti, anche, inconcepibile. Negli ultimi giorni, infatti, gli ultimi macchinari ad aver mollato, sono state le tac. Alcune sono rotte, altre in manutenzione. E, né sulle prime, né sulle seconde, si sa con certezza quando torneranno pienamente in funzione. L’unica tac in uso è quella del reparto di Neuro Radiologia. Intasata fino all’inverosimile. Ora, se l’esigenza di una tomografia assiale computerizzata è necessaria al mattino, seppur tra intoppi, polemiche, confusione e ritardi, i pazienti riescono a sottoporsi all’esame. Se, invece, come spesso succede, la necessità di un approfondito esame è serale o notturna, oltre alla pazienza, bisogna anche avere fede. E, anche tanta. Sì, perché, le tac di nuova generazione, attive nel suddetto reparto di Neuro Radiologia, non tutti gli interni ospedalieri le sanno usare e far funzionare. E, allora, bisogna ricorrere ai tecnici in reperibilità.

    Che, come supereroi, indossano i loro camici e volano in ospedale. La vita al pronto soccorso, non è semplice. Non lo è per le centinaia, a volte anche migliaia, di persone che si recano nell’area triage e, tra sale d’attesa, codici bianchi, codici gialli e codici rossi, aspettano di conoscere il loro destino. Ma, non lo è nemmeno per le professionalità mediche, infermieristiche ed ausiliarie che ci lavorano dentro. Alcuni, soprattutto tra i medici e gli infermieri, che quel camice l’hanno scelto, voluto, sognato e l’indossano come se fosse una seconda pelle, esserci, non è solo un dovere morale, non è solo un lavoro, non è solo una passione ma, diventa, anche una forma di vocazione.

    Di altruismo e di prossimità. Ma, la laboriosità, l’impegno, lo spirito di sacrificio e di abnegazione, di questi eroi silenziosi, viene spesso offuscata dall’atteggiamento di altri medici e altri operatori sanitari che, quella divisa l’indossano senza onore. Quasi come se fosse un peso, quasi come se fosse una camicia di forza, più che come un simbolo di professionalità. Meglio nascondersi in una stanza, o rifugiarsi tra i tasti di uno smartphone, sperando di rendersi invisibili. Per 365 giorni all’anno, insomma, la vita nell’ospedale dell’Annunziata è un viaggio nella e della speranza. Senza meta, senza punti di riferimento e senza certezze. Ma, spesso, per fortuna si incontrano angeli. E, allora, in questo viaggio, ci si sente più sicuri, più protetti. E, meno abbandonati. A se stessi e alle proprie paure. Diagnostiche

    Carmine Calabrese

     

     

     

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