Allenatori si rinasce: dalla Callipo al Cosenza femminile

Tonino Chirumbolo, dopo le brillanti esperienze vissute nel settore maschile a Lamezia, Cetraro, Rossano e Vibo, è al suo secondo anno con la Volley Cosenza, massima espressione della pallavolo femminile nella città brutia.

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    di Sergio Lionetti

     

    Partiamo dall’inizio degli inizi: il tuo primo ricordo in assoluto che ha a che fare con la pallavolo?

    Il colpo di fulmine scattò durante Italia-Cuba, semifinale dei Mondiali di Roma del 1978: una passione scolastica diventò un’ossessione, anche perché mi dicevano che ero troppo basso per giocare a certi livelli. A me non devono mai dire che non posso fare qualcosa, se davvero vogliono che io non la faccia: lottai per dimostrare il contrario, come per tutte le cose della mia vita.

     

    La prima volta che sei entrato in un campo di pallavolo?

    A scuola, anche se il primo vero allenamento in una squadra vera lo feci nella palestra all’aperto del Maggiore Perri, a Lamezia: per noi della vecchia guardia, un vero tempio.

     

    Il primo Maestro?

    Giampiero Scarpino, figura di punta, in quel periodo, per la pallavolo lametina. Venne a fare una supplenza a scuola, mi vide giocare e mi portò al Salumificio Mena, dove fui per la prima volta tesserato.

     

    Facciamo un momentaneo salto in avanti: gli allenatori che hanno accompagnato la tua crescita tecnica e mentale…

    Ho sempre cercato di prendere qualcosa da tutti, anche dai colleghi più giovani ed ancora sto cercando di imparare, ma se proprio devo fare dei nomi, Billy Gurnari, Carmelo Perrotta e Nico Agricola sono i tre che, a vari livelli, mi hanno dato davvero tanto: soprattutto la capacità di pensare ed elaborare una pallavolo mia. Credo, comunque, di aver imparato tanto anche dai giocatori che ho avuto la fortuna di allenare, specie a Cetraro e Rossano, gente che mi ha temprato e mi ha fatto capire i tanti limiti che avevo.

     

    Nostalgia del Chirumbolo giocatore?

    No. E’ stato un bel periodo, ma dopo l’addio non ho mai più giocato, nemmeno scapoli contro ammogliati (tranne per il cinquantennio della pallavolo lametina: lì non potevo esimermi…). Mi piace allenare e probabilmente sono riuscito a fare cose che, da giocatore, avrei solo sognato.

     

    Qual è stato il momento più soddisfacente di quando facevi il giocatore?

    Il campionato di B del 1990/91: giocare di fianco a grandi atleti del periodo, fu una sensazione bellissima. Sfiorammo l’A2 per un soffio: peccato, sarebbe stato il Top.

     

    Passiamo al Tonino allenatore. Come hai cominciato?

    Non tutti lo sanno, ma io iniziai il 1985, con una squadra femminile under 14. Ero appena tornato dal militare e Giampiero Scarpino mi chiese di dargli una mano come secondo: vincemmo il titolo regionale ed andammo incredibilmente alle finali nazionali di Ostia. Con i maschi, invece, ho iniziato il ’91/’92, come secondo di Mimmo Bruni: in B1 a Lamezia.

     

    Cetraro: il primo trampolino oppure no?

    Assolutamente. Venivo da due anni di C con il settore giovanile del Lamezia e Alberto Picarelli mi chiamò per il campionato dell’allora C2: ne vincemmo tre di seguito, fino alla B1, con 72 vittorie su 78 partite in tre anni.

    Tre anni pazzeschi. Un pezzo di vita magnifico…

     

    Allenavi anche i ragazzini?

    Se non ricordo male, ho allenato pure le ragazze: entravo in palestra alle 15.00 ed uscivo alle 22.00: una full immersione totale. Però, che periodo: il Giordanelli ribolliva di gente. Ricordo di partite durante le quali la gente rimaneva fuori perché non c’era posto all’interno. La pallavolo era diventata un momento delle famiglie.

     

    Rossano: La conferma che eri ormai un allenatore a tempo pieno.

    Rossano è stato il posto dove ho maturato la convinzione di occuparmi prettamente di giovani. Anche lì, riuscimmo a creare un ambiente fantastico, grazie alla società di cui Guglielmo Labonia era lo splendido nocchiero. Penso che lui sia una delle persone migliori che io abbia mai avuto sulla mia strada: mi onoro di essere suo amico, davvero.

     

    Lì allenavi solo i grandi?

    No, anzi. Mi sono occupato ancor di più dei gruppi più piccoli. Tutti i ragazzi che sono venuti fuori, negli anni, sono proprio frutto di un lavoro svolto con i più giovani, che poi sono diventati i protagonisti dei campionati che seguirono quello di B1: ci salvammo con un manipolo di ragazzi under 21, a scapito di vere e proprie corazzate. Quel campionato mi é costato cinque anni di vita, ma ne valeva la pena…

     

    12 Una parentesi per un grande personaggio del nostro volley: il professore Falcone. Descrivilo per i ragazzi che sono troppo giovani per averlo conosciuto.

    Nino Falcone è quanto di più vicino ad un padre io abbia avuto nella pallavolo e nella vita in genere. Mi ha dato carezze e calci in culo, mi ha spronato nei momento bui e mi ha riportato sulla terra quando credevo di essere arrivato. Ancora oggi, quando mi chiama, dopo le nostre chiacchierate di ore, io mi sento più ricco e più riflessivo. Lui dice sempre che “CHI MANGIA FA MOLLICHE…”: nella mia vita, lui, di molliche, ne ha fatte veramente tante…

     

    Da Rossano a Vibo: ti sei buttato oppure hai tentennato? E come è nata, la cosa?

    Mi avevano chiamato due anni prima, ma non me la sentii di lasciare Rossano. Due anni dopo, Rossano iniziò un progetto sul femminile e, a quel punto, la chiamata di Nico Agricola (che era il responsabile tecnico e che mi aveva avuto con sé anche a Lamezia qualche anno prima) mi sembrò irrinunciabile: era comunque un club di A1, una grande occasione. Ma lasciare Rossano fu veramente duro.

     

    Una cosa sovrumana: riassumere una vita intensa come quella vissuta alla Callipo. Facciamolo con tre frasi: una per il momento più bello, una per quello più brutto, una per il distacco.

    Fate voi: in dodici anni, tre o quattro promozioni, una media di un paio di finali nazionali all’anno, due Coppe Calabria. Questo potrebbe già bastare, ma lo scudetto under 14 del 2008, come emozione, lo metto un passetto indietro solo alla nascita dei miei figli: una roba che solo chi lo ha vissuto in prima persona può capire.

    Ci sono stati anche momenti brutti: qualche sconfitta più pesante di altre, ma mai nulla che mi abbia precluso la possibilità di rifarmi.

    L’addio fa parte delle storie della nostra vita: arriva il momento in cui si cambia e si decide di fare dell’altro. Ma quando torno a Vibo, capisco sempre quanto la gente mi abbia amato e mi ami ancora e questo da un senso anche all’esserci separati. Resta l’amore per questa città, per questa società a cui si aggiunge una stima e un affetto per Pippo Callipo che non credo si esaurirà mai. E comunque – e concludo l’argomento – ho imparato tantissimo da tanti, anche da chi sembra che io non stimi, ma non è così. PUNTO.

     

    Prima di parlare del presente, una domanda è d’obbligo: se la Volley Cosenza ti avesse chiamato quando a Vibo tutto era ancora tranquillo e non dopo il divorzio, tu avresti preso in considerazione un cambio di società e di città?

    Probabilmente no. Però è altrettanto vero che ho scelto Cosenza a fronte di buone offerte nel maschile. Da ciò si evince, quindi, che ho reputato il progetto del presidente Filippelli valido e futuribile, al di là del cambiamento profondo a cui mi avrebbe portato.

     

    E veniamo al presente. Quanto tempo c’è voluto, per capire che tu e la Volley Cosenza eravate i partner giusti?

    Il tempo di capire che potevo e volevo passare al femminile. Una volta operata la scelta, Cosenza diventava l’opzione migliore, poiché mi permetteva di lavorare su atlete giovani e mi dava il tempo di adattarmi ad una nuova realtà ed ad un nuovo modo di fare e pensare pallavolo.

     

    Il primo impatto e la prima gaffe con le ragazze, dopo una “full immersion” nel maschile.

    Delle donne, mi piace come si applicano nel lavoro tecnico di base: i maschi, se dopo venti minuti non li mandi ad attaccare, danno i numeri. Le ragazze sono dei muli di lavoro e sputano l’anima senza battere ciglio.

    I primi mesi, svolgevo tutto al maschile e c’è voluto un po’ di tempo, prima di “femminilizzare” la mia conduzione (e ancora, ogni tanto, ci ricado).

     

    Quanto tempo si impiega, per capire che il mondo intorno a te è cambiato?

    Il mondo non è cambiato, c’è un campo 18×9, una rete, un pallone, quattordici anime in campo ed un arbitro che fischia. Basta solo che, a cambiare, non siamo noi ed il volley in cui crediamo. Se credi in quello che fai e le persone si fidano di te, il mondo intorno cambia poco…

     

    Secondo anno con la Serie C. Quest’anno la squadra è un mix tra giovanissime e ragazze più esperte: da cosa nasce, questa scelta? Un ripensamento o un passo avanti?

    Abbiamo un gruppo di ragazze che vogliamo far crescere: alcune sono abbastanza pronte e le butteremo in campo da subito; altre, invece, sono ancora troppo giovani per darle in pasto ad un campionato di C: abbiamo deciso, quindi. di affiancarle ad atlete più esperte, che possano dar loro gli stimoli e il confronto giusto per aiutarle a crescere. Tra l’altro, le nuove arrivate sono tutte cosentine, e questo denota la volontà della società di valorizzare comunque il territorio, senza andare a pescare lontano, aumentando costi e diminuendo il senso di appartenenza.

    Il lavoro procede, la squadra è nuova e ci vorrà un po’ di tempo per vederla girare a dovere, ma la volontà non manca e speriamo di vedere al più presto la squadra che abbiamo in testa, magari con tante giovani pronte a recitare un ruolo da protagoniste.

    Abbiamo finito?

    No, abbiamo appena cominciato.

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