Cosenza, sei da lettino. Dello psicanalista

I rossoblu giocano bene solo i primi 18 minuti. Il tempo che permette a Baclet di gonfiare la rete del vantaggio. Poi, il buio

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    Senza grinta, senza gambe e senza cuore. Si può raccontare così l’ennesima (non) prestazione del Cosenza che, sempre più afflitto da chissà quale ignota sindrome psicofisica e vittima di un’irreversibile crisi identitaria, regala punti (pesanti) palcoscenico e vittoria al Catania di Rigoli. Un Catania che, quasi incredulo di tanta gentilezza, raccoglie e va via. Con sei punti in tasca. Tre per la classifica, altrettanti per il morale. Il Cosenza gioca appena 18 minuti, giusto quelli utili a permettere a Baclet di gonfiare la rete e mandare in orbita il popolo rossoblù. Dal 19′ minuto in poi e soprattutto per tutto il secondo tempo, il Cosenza smette di giocare, rinuncia a rendersi pericoloso, sbaglia l’impossibile. Atteggiamento incomprensibile, comportamento da manuale del “non calcio” e errori in serie, dai passaggi alle posizioni in campo, da far fare, perfino, “ohhhhhh”, ai “pulcini” delle scuole calcio. Il Cosenza, insomma, colleziona la sua ennesima sconfitta, mostrando il suo lato sportivo, caratteriale, fisico e professionale peggiore e dimostrando di non giocare né per la classifica, né per la maglia, né per o contro Roselli, ma solo contro se stesso. Perché? Perché? Perché? Diventa difficile rispondere. Anche il padre della psicanalisi avrebbe difficoltà a tirare fuori dalla sua sapienza e dalla sua scatola cranica, una risposta. Utile, chiara e convincente. La nuova caduta sull’erba del “Marulla” (Gigi, perdonali se puoi) contro il Catania, rallenta ulteriormente la marcia della squadra silana verso un obiettivo che, allo stato, non si sa più qual’è. Di certo, per quello (non) visto, (non) fatto e (non) tentato oggi, pensare di continuare ad insistere sul proclama societario di un “organico di livello e di un campionato ambizioso e di vertice”, significa prendere per i fondelli un’intera tifoseria e far saltare i nervi anche al più compassato e flemmatico sportivo cittadino. Ma, dopo oggi, anche il più oltranzista e integralista roselliano, dovrebbe cominciare ad accorgersi che qualcosa tra il tecnico e la squadra si sia rotto. Alcuni esempi? Caccetta, l’eroe di Catanzaro, è la brutta controfigura di se stesso. Criaco, il goleador del centenario, è irriconoscibile. Lento, distratto, prevedibile, macchinoso, fuori dal gioco e da ogni singola manovra. Per non parlare di Corsi e Cavallaro, giusto per rimanere sulla vecchia guardia. La gara di oggi, qualora ce ne fosse stato ulteriormente bisogno, ha detto che Capece è inadatto al Cosenza. Lo è per geometria di campo, lo è per mancanza di carisma. Quello che abbonda sulle spalle di Ranieri, messo fuori gioco da un attacco influenzale. Ha detto, ancora, che Filippini, Gambino, Baclet, D’Anna, Mungo, non hanno la forza fisica, la carica mentale e la cattiveria agonistica giusta, per far fare alla squadra quel salto di qualità che, in questo momento, serve. Serve maledettamente, serve assolutamente. I fischi finali, assordanti e sonori, che hanno accompagnato la squadra negli spogliatoi, sono un pessimo segnale per la trasferta di Agrigento, martedì contro l’Akragas, e per il prossimo impegno casalingo contro il Messina di “bomber” Lucarelli. Ancora punti pesanti in palio, ancora due partite al cardiopalma, ancora due sfide da vincere. A tutti i costi. Ancora due sfide per convincere tutti che questo Cosenza non è un malato inguaribile, ma è un caso clinico, difficile ma risolvibile. Con un’adeguata terapia di autostima, coraggio, cattiveria, agonismo e attaccamento alla maglia. Gennaio, il mese della corsa ai “ripari” prima che sia troppo tardi, è ancora lontano. Ma la società, con in testa il patron Guarascio e il direttore sportivo Cerri, hanno il dovere di programmare per bene dove e come intervenire. Anche perché, l’esperimento di aver pensato di rimpiazzare Arrigoni con capece, Ciancio con D’Anna, Fiordilino con Ranieri, Vutov con Appiah, La Mantia con Baclet e Arrighini con Gambino, è stato, anche se, non totalmente, fallimentare. O quasi. E Roselli? Già, il Santo “subito” per le due stagioni alla grande, per la Coppa Italia e per l’exploit di Catanzaro, è finito, ormai da settimane, nel vortice della critica e della contestazione. Non diretta, ma social. Che, per alcuni aspetti, nell’era del 2.0 è anche peggio di un vecchio “salta la panchina, salta la panchina”. I ben informati, assicurano che l’allenatore di Montone potrebbe essere ai titoli di coda. Il resto, lo dirà l’Akragas, sub judice del destino del Cosenza e del futuro di Cerri e Roselli.

    Carmine Calabrese

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