Claudia, morta per una cipolla affettata dalla malasanità

E' l'ennesima pagina nera della malasanità. E' il racconto di una nuova tragedia consumata dentro un ospedale o una clinica

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    Ci sono le “cipolle” che fanno lacrimare. E, ci sono, poi, le “cipolle” che, invece, fanno piangere. Di disperazione, d’angoscia e d’assenza. La “cipolla”, volgarmente riconosciuta in medicina come sinonimo dell’alluce valgo, è uno degli “ingredienti” di questa storia, sistemata nel “pentolone” della malasanità e in attesa di essere “cotta” sotto il braciere ardente della giustizia. La storia di questa “cipolla”, è molto triste. E’ l’ennesima pagina nera della malasanità. E’ il racconto dell’ennesima tragedia, consumata dentro un ospedale o una clinica. E’ l’ennesimo report sull’impennata dei tassi di mortalità dentro e nei luoghi di cura. E le statistiche, non mentono. Alle nostre latitudini e longitudini, si muore, più per “malasanità” che per attacco cardiaco. Si muore, più per “leggerezza” medica che per incidenti stradali. Si muore, più per “errori diagnostici” che per “sgambetti” del destino. Oggi piangiamo Claudia Malizia, una mamma 36enne di Luzzi, andata via troppo presto. Staccata violentemente dalle braccia della sua figlioletta, dalle carezze del marito e dall’affetto dei suoi parenti, proprio sotto Natale. Proprio, ironia del destino, nei giorni che annunciano, festeggiano e santificano, il concetto più alto della nascita e della rinascita. Ieri abbiamo pianto la 61enne Maria Barca, così come la neonata Angelica, spirata appena 48 ore dopo essere venuta al mondo. Sono tutte morti di sanità. Sembra impossibile che, nel 2016, nell’era delle tecnologie più avanzate, nel tempo dei nuovi linguaggi multimediali, nell’epoca delle più prestigiose e fantascientifiche scoperte innovative, ancora sui muoia nei nostri ospedali e nelle nostre cliniche. La Calabria ha un triste primato, come ne ha tanti altri, ovviamente in negativo, e in tutti i più svariati campi. E’ più facile morire di malasanità in calabria che di fame o di sete in Etiopia. E’, ancora, più facile perdere la vita su un lettino operatorio di “casa nostra” che in un fatiscente sgabuzzino dell’Africa sub sahariana, adattato ad ospedale da campo o trasformato in un centro d’infermeria ambulante. Claudia è morta, così come sono morti anche i sorrisi dei suoi familiari e le speranze di suo marito, di poterla avere ancora vicino. Di poter avere, ancora, altre e tante occasioni per progettare un futuro pieno sogni. Claudia è deceduta per una setticemia che l’ha divorata in fretta, “rosicchiandole” anche le ultime resistenze del cuore. Il calvario di Claudia Malizia, inizia nello scorso mese di novembre. La 36enne, affetta da un fastidioso alluce valgo, aveva deciso di sottoporsi ad un intervento chirurgico per rimuvolerlo. E, aveva scelto, una clinica di Catanzaro, dove operarsi. L’intervento, effettuato, come detto, nello scorso mese di novembre, raccontano i familiari era andato bene. Tanto che, dopo qualche giorno di ricovero, la 36enne era stata dimessa e mandata a casa. Ma, alcuni giorni dopo aver rimesso piede nella sua quotidiana normalità, s’è resa conto che qualcosa non andava. Sensazione diffusa di debolezza, alterazione della temperatura corporea, brividi di freddo e malesseri diffusi. Quello che per giorni è stato tenuto sotto controllo come uno stato febbrile e curato con antipiretici e vitamine, s’è rivelato, con il passare dei giorni, qualcosa di molto più serio e preoccupante. Tanto, da convincere la stessa 36enne e i suoi familiari a ricorrere alle cure del pronto soccorso dell’Annunziata. Giunta in ospedale, con un quadro clinico compromesso, la 36enne è stata sottoposta a specifiche cure e minuziosi controlli specialistici, dai quali è emerso un verdetto inappellabile: setticemia. Senza possibilità di cura. Da Cosenza è stato disposto il trasferimento al Sant’Anna di Catanzaro, dove – raccontano le cartelle cliniche, ora sequestrate dalla magistratura – è stato fatto il possibile e tentato anche l’impossibile per provare a salvarle la vita. Né la medicina, né la preghiera hanno strizzato l’occhio a Claudio. Ieri, dopo un lungo periodo di sofferenze, di pianti, di angoscia, Claudia Malizia si è arresa, chiudendo gli occhi per sempre. Oggi il dolore è forte, la rabbia è tanta, la disperazione è troppa. Così come è elevata la voglia di verità e di giustizia. Per Claudia, per Maria, per Angelica e per tutte le altre vittime innocenti, “ammazzate” dalla leggerezza e dagli errori dei medici.

    Carmine Calabrese

     

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