Adele “rapita” dall’on line

La perversione dilaga in rete

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    In fuga. Dal mondo reale. Quella che stiamo per raccontarvi, è una storia di disagio. Ma non è né un disagio culturale, né sociale. E’ un disagio quasi esistenziale. Un disagio che accomuna (e questo è il dato più preoccupante, ndr) tanti ragazzini, alla ricerca di qualche diversivo per sconfiggere la noia. Adele (il nome è di fantasia, ndr) è una di queste. Ha 13 anni, va a scuola con apparente entusiasmo, prende anche buoni voti ed è ben voluta da insegnanti e compagni. Ma, qualcosa le manca. Le manca, così tanto, da farla sentire già così stanca di una vita appena “annusata”. Lei, classificata come la classica brava ragazza, di buona famiglia, senza grilli per la testa e senza “macchie” nel suo comportamento adolescenziale, ha deciso di sperimentare su di sé i brividi della perversione, giocando con il suo corpo a fare l’adulta. A sentirsi già grande. Ecco che allora, davanti alla fotocamera accesa del suo I-Phone di ultima generazione o davanti all’obiettivo del suo mini I-Pad, ha deciso di “mostrarsi” nature, esibendo, con orgoglio di se stessa, la prova di una sessualità attiva. Ma, come spesso accade (alcune volte, verrebbe da dire, per fortuna, ndr), un giorno Adele ha lasciato il suo cellulare a casa. Sotto carica, poggiato sulla sua scrivania. La madre (Adriana, anche questo è un nome inventato, ndr), intenta a sistemare la casa, sentiva con insistenza i “tin” dei messaggi in arrivo. La donna, 40 anni, professionista nota in città, leggendo i messaggi è impallidita. Quegli sms sono stati per lei un’amara scoperta: quella di non conoscere sua figlia. Per niente. Quei messaggi erano i commenti di approvazione per quei video a luci rosse girati e interpretati dalla figlia. Scorrendo la memoria del telefono, ne ha scovati ben 48. Alcuni da far impallidire anche le più consumate regine dell’hot. Ma la sua Adele, non era sola. Con lei c’erano anche amichette ed amichetti, in atteggiamenti tutt’altro che innocenti. Ragazzini, tutti frequentanti una nota scuola media cittadina. Adriana, dopo una crisi di pianto per la disperazione di non aver capito la figlia, di non averne saputo interpretare la sua ribellione e i suoi disagi e di sentirsi in colpa per aver “fallito” come genitore, ha telefonato al marito per informarlo della sconcertante scoperta. Anche per papà Luigi è stato un colpo. Diretto al cuore. Vedere sua figlia in quelle pose, sapere la sua bambina esposta su internet, è stato un trauma. Una volta ripresisi, i genitori di Adele hanno contattato un loro amico psichiatra per un consiglio. Un suggerimento per affrontare non solo il problema, ma soprattutto la figlia. Oltre a rivolgersi ad un esperto, Luigi e Adriana hanno anche dato mandato ad un noto avvocato di Cosenza, di valutare eventuali condotte penali, a carico di terze persone. Adriana e Luigi non hanno dubbi. La loro bambina è stata convinta da qualcuno ad esibirsi. Una dettagliata informativa è stata trasmessa sia alla polizia postale, sia al tribunale petr i minorenni di Catanzaro. Anche la scuola è stata messa al corrente dell’accaduto, lasciando insegnanti senza parole. Sarà l’indagine dei detective della Polpost, diretti dal sostituto commissario Tiziana Scarpelli, a stabilire la gravità del fenomeno. Un fenomeno che, a detta degli stessi inquirenti, è in continua espansione. Secondo i rilievi fatti dalla polizia delle telecomunicazioni l’88% dei maggiorenni praticano quello che in gergo internauta viene definito sex selfie, cioè autoscatti osè, ma il dato preoccupante è un altro: il 60%, con un alta percentuale di minorenni, si dedica al sexting, cioè alla produzione e all’invio di foto e video sessualmente espliciti. Spesso, purtroppo, gettati in rete e preda di “cannibali” del sesso più perverso o, peggio ancora, di pedofili e pedopornografi. Luigi e Adriana sono distrutti. Ma hanno scelto di “proteggere” Adelaide, dai pericoli della rete, dal fascino della noia e, forse, anche da se stessa. E da tutte le sue fragilità. Coraggio Adelaide, coraggio.

    L’ANALISI – Roberto, giovane volontario in un gruppo d’ascolto, di storie come queste ne ha sentito tante. E ogni volta, per sua stessa ammissione, è un colpo al cuore. “Dietro questa storia, non c’è solo la noia, pericolosa compagnia delle nuove generazioni, c’è, soprattutto, la voglia di sentirsi grandi, accettati a tutti i costi da una società che ha cannibalizzato gli ideali, i valori, annullando la logica dell’essere, semplicemente se stessi, per diventare altro. Diventare un fenomeno. Un fenomeno di costume, un fenomeno di emulazione, un fenomeno di ribellione, un fenomeno a lunga autodistruttivo. Di se stessi. “Tutto questo è reso ancora più facile – prosegue amaramente Roberto – dalla latitanza di famiglie che, per una o mille ragioni, spesso di comodo, non funzionano più. In casa ormai non ci si ascolta più. Ci sono famiglie e – continua – noi di casi del genere, ne abbiamo tanti, dove madre, madre e figli, anziché parlare a tavola, o seduti davanti alla tv, comunicano per sms o, peggio ancora, tramite social network. E’ in questi vuoti che si insinua la noia. E’ di questo vuoto esistenziale che si “ciba” spesso l’adrenalina. Ma, non quella sana, che ben utilizzata di fa fare cose straordinaria, ma quella di scarsa qualità, quella che scorre nelle vene delle nuove generazioni. Dove “farsi”, non importa se una canna, una dose, una donna, per esempio, diventa un modo di presentarsi al mondo. Fare il duro o fingere di esserlo è per molti ragazzi, minorenni soprattutto, una falsa dimostrazione di un super io che non hanno, che è solo un effetto devastante della voglia di essere “qualcuno”. Ma voler essere quello che non si è o non si può essere, non è solo controproducente, è irreversibilmente pericoloso. E’ come giocare con la propria vita a camminare bendato sul ciglio di un burrone. Si è soli, indifesi, esposti al pericolo della caduta, rovinosa. E mortale. Non conosco nello specifico la storia di Adelaide e del suo desiderio di esibizionismo. A tutti i costi. Su internet il rischio è altissimo, così come è elevato anche la certezza di “perdersi”. Spesso basta niente. Basta un ciao, uno smile, una rosa, un bacio, un adesivo casomai teneramente romantico ad innescare la miccia. E’ un attimo e ci si perde. Forse per sempre. Ci sono persone in rete, che per passatempo, per scelta, per hobby, per perversione, giocano con le esistenze dei soggetti più deboli, come ad esempio gli adolescenti. O, peggio ancora, i bambini. A 13 anni – ricorda Roberto – si è ancora bambini. Lo si è nel corpo, lo si è nel cervello, lo si è nel cuore. Ma spesso la rete è piena, come detto, di professionisti ed appassionati del sesso virtuale, di “galli cedroni” dell’on line, di nomadi delle chat a luci rosse. Gente depravata che cerca di compensare i propri vuoti esistenziali, ingolfando le vite degli altri.

    Carmine Calabrese 

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