Marta e Fabio, fine di una favola per qualche taglia in più

LE STORIE DI COSENZAINFORMA. Quelle carenze “proteiche” d'affetto, quell'anoressia di comprensione e di complicità

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    Ci sono storie che evidenziano la malvagità delle persone, storie che “esaltano” la forma più brutale di cattiveria e di indifferenza. Ci sono storie che raccontano di uomini e donne, di mariti e mogli, uniti a volte solo da un anello, perché il rispetto, l’amore, l’affetto, la stima, complicità e la comprensione l’hanno dimenticata chissà dove. Quasi come se fosse qualcosa di non necessario da portarsi dietro. In questa storia, c’è tutto questo. Ma, c’è anche la solitudine di Marta, privata dall’ex marito di tutto. Marta e Fabio, entrambi 45enni, si erano conosciuti tra i banchi di scuola. Poi il percorso di studi li aveva divisi, fino a farli rincontrare cresciuti, maturi e cambiati in un ristorante di Roma. Era lì entrambi per lavoro. Lei avvocato, lui architetto. Tra una forchettata di cacio e pepe e un buon sorso dei Castelli romani, Marta e Fabio si erano raccontati la loro vita. Partendo proprio da quell’ultimo giorno di scuola, nelle aule del Fermi. Poi entrambi con il 60 in tasca avevano intrapreso le loro strade: Fabio “imboccando” lo svincolo del successo personale e professionale per Firenze, lei “sfrecciando” sull’A1, verso Roma. E, quel giorno a Roma, entrambi si erano riscoperti sì realizzati, ma single. Tanto lavoro, altrettanti successi, ma nessuna emozione amorosa da condividere. Fabio, oltre all’architettura, aveva mantenuto sempre attiva la passione per il fitness, per la cultura del bello, per l’estasi dei corpi. E, anche Marta, aveva mantenuto un debole per lo sport, nuoto soprattutto. Quella stessa sera, Fabio e Marta, si erano dati appuntamento per un aperitivo. Due passi in centro, l’aria piacevole di maggio, la magia della Capitale e qualche drink, fecero il resto. Marta e Fabio, in fondo, si amavano da sempre. Ed entrambi lo sapevano bene. Quella sera, come in un film di Federico Moccia, approfittando della luce del tramonto sul Lungotevere, Fabio fece il primo passo e “smack”: il bacio, quello da sogno, sancì l’unione. Di anime che si rincorrevano, di cuori che si cercavano, di corpi che si volevano. Il fidanzamento durò cinque mesi. Trecento e passa giorni, in cui i due perfezionarono l’alchimia e la chimica, progettando un futuro insieme e tanti figli. Tutto filava liscio, come una favola. A febbraio, Marta fece un test, quello che, per antonomasia, nella vita di una donna, rappresenta il punto più alto di realizzazione. Quel test fu la risposa alla nausea, ai capogiri, agli sbalzi d’umore, alle impennate d’amore. Marta era raggiante. Quella luce che le accendeva gli occhi e il viso, illuminava tutto. Anche Fabio. Con la nascita di Marcello, la vita di Marta e Fabio divenne ancora più luminosa. Appena un anno dopo, arrivò Ilaria. Figlia dell’amore, concepita a Napoli, in una serata speciale. Una serata segnata sul calendario in rosso, quasi fosse da santificare. Ma poco dopo, la magia di questa favola, così come la spettacolarità di quella luce, si spense. Le due gravidanze, avvenute in poco tempo, avevano lasciato segni sul corpo di Marta. Segni sui fianchi, segni sull’addome, segni sulle cosce. E, mentre Marta continuava a mantenere intatta l’espressione della sua felicità, Fabio ha cominciato a guardare sua moglie, con altri occhi. Meno complici, meno comprensivi, meno innamorati. Ma tanto critici e anche crudeli. Fabio non riusciva più a guardare Marta, non riusciva più nemmeno a desiderarla. Per Fabio quella donna che aveva sposato, che aveva amato, che aveva voluto, che aveva rincorso, era e stava diventando un’estranea. Marta, infatti, non certo per sua colpa, non entrava più nelle sue mise taglia 42. Aveva preso chili, ma a lei non interessava. Lei si piaceva ugualmente. Si piaceva vedersi donna felice, si piaceva femmina piacente e si piace mamma realizzata. Fabio, invece, proprio non ci riusciva. Ed erano parole, erano insulti, erano cattiverie. Gettate addosso a Marta come slavine di fango. Marta si sentiva come se venisse “lapidata” da Fabio. Con i suoi sguardi, con i silenzi, con quelle sue espressioni facciali che ferivano. Più di un insulto. Fabio ad un tratto abbandonò anche il letto e si trasferì in soggiorno. Per lui Marta non esisteva più. Esisteva una donna, dalle forme curvy, che lui detestava. Marta, per un po’ di tempo, ha retto. Tenuta in piedi dal pensiero dei figli, sorretta dall’amore dei figli e determinata ad andare avanti e a vivere per i figli. Ma, alla lunga, gli insulti, gli sguardi, la cattiveria hanno indebolito la sua tempra e hanno “minato” la sua forza, soprattutto psicologica. E, Marta è crollata. La donna ha iniziato a collezionare corse al pronto soccorso, fughe dalle amiche e pillole per stordirsi. Pillole, colorate e non, che deglutite con l’acqua la facevano sentire di nuovo forte. Peccato che quelle pillole non servivano a nulla per curare l’indifferenza di Fabio e la sua passione perversa per le silhoutte perfette. Marta è finita in analisi. Il suo è un percorso ancora in salita. Marta ha smesso anche di fare l’avvocato, si è presa un lungo periodo di riflessione e di ricostruzione. Di se stessa, con se stessa e per se stessa. E, per quei due figli che sono la sua forza, il suo coraggio e la sua determinazione. Il prossimo passo è quella della separazione da Fabio che, nel frattempo, si vede con una collega. Elegante, nei suoi tailleur. Taglia 42.

    Carmine Calabrese

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