Roberta Lanzino, un ‘martirio’ umano e giudiziario lungo 29 anni

Quel giorno, il 26 luglio del 1988, la studentessa, in sella al suo motorino, si stava recando al mare, ma la sua casa delle vacanze non l’ha mai raggiunta. Qualcuno, forse più di uno, le ha tolto il sorriso e ha barbaramente interrotto la sua giovane vita

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    Quel puzzo, pestilenziale, di morte. Che, da 29 anni, inquina l’aria con le polveri sottili delle bugie, dei depistaggi e delle verità, avariate. Percorrendo le curve e i tornanti della vecchia strada di Falconara Albanese, si sente ancora forte il profumo di giustizia e di verità, per la tragica fine di Roberta Lanzino, brutalmente assassinata il 26 luglio del 1988 da “bestie” feroci, rimaste ancora senza volto e senza nome. Roberta, simbolo per eccellenza della violenza sulle donne e dell’accanimento più animalesco sull’innocenza, aveva solo 19 anni, quando venne strappata alla vita. Roberta, dal giorno del suo “martirio”, è stata assassinata più volte.

    E’ stata uccisa dalle bugie, è stata straziata dai depistaggi, è stata brutalizzata dalle coperture, è stata tumulata da errori giudiziari e sviste investigative. Roberta è stata seviziata dai suoi assassini, ma Roberta è stata anche “tradita” dalla scienza e un po’ anche abbandonata dalla legge. I genitori della Lanzino, così come tutti coloro che hanno avuto il piacere e la fortuna di incontrare Roberta e di scoprirne la sua bellezza e i suoi sorrisi, nonché la sua spontanea genuinità e di rimanere affascinati da quella contagiosa esuberanza dei suoi anni, non si sono mai rassegnati all’idea che il delitto di Roberta, resti un mistero. Senza colpevoli, senza moventi e senza perché.

    Quel maledetto 26 luglio, Roberta, salita sul suo motorino, aveva ingranato le marce basse per salire lungo la strada impervia del vecchio sentiero di Falconara Albanese. In sella al suo motorino (un Sì Piaggio di colore blu, ndr) si sentiva sicura.

    Percorrendo quei tornanti, Roberta pensa alla sua estate, pensa alle serata da festeggiare in compagnia, pensa ai divertimenti, pensa ai tramonti da immortalare con una foto, pensa alle albe da incorniciare dentro un click. Roberta, non immagina, che tra quelle curve c’è un “demone” che, assetato di sangue, affamato di depravazione, strafatto di violenza e sballato di perversione e peccato, la vuole possedere. La vuole dominare. Le vuole strappare di dosso, non solo i vestiti, ma anche l’innocenza e i sorrisi.

    Quelle mani “unte” di violenza, toccano Roberta, sporcandone anche l’anima. Quell’anima pura e bella, che ancora reclama giustizia, che ancora urla verità. Una verità che, nonostante, infiniti processi (quelli sommari, quelli giudiziari, quelli mediatici, così come quelli che hanno incuriosito, appassionato, sconvolto l’opinione pubblica, ndr) non sono riusciti a stabilire chi e perché ha ucciso Roberta Lanzino, negandole la meraviglia di crescere, spegnendole sogni, sorrisi e desideri e depredandola di speranze e futuro.

    Prima i fratelli Frangella, poi Franco Sansone e Luigi Carbone (questo uscito anzitempo dal processo, per sparizione. Si è sempre parlato di un caso di lupara bianca, ndr), sono usciti dalla porta principale del processo con in tasca un verdetto di assoluzione piena.

    I genitori di Roberta, nonostante il grande dolore, nonostante la fitta rete di bugie, la maglia impenetrabile di depistaggi, le tante incertezze investigative, le mancate risposte del Dna, non hanno mai smesso di combattere. Per avere giustizia, per vendicare, con l’aiuto della legge, Roberta, per guardare in faccia chi ha spezzato la vita della loro figlia che, quel giorno di fine luglio, ha pagato a caro prezzo una leggerezza comportamentale.

    Roberta, con il suo sorriso, con la sua spontaneità, con il suo modo di essere spontanea, genuina e trasparente continua a vivere nei ricordi di chi l’ha conosciuta, nei pensieri di chi l’ha amata, nelle parole di chi le ha voluto bene.

    Nel corso di questi anni, ben 29, si sono fatti nomi, si sono disegnati scenari, si sono preconizzate responsabilità, si sono pensati e pesati moventi. Così, come sono stati ancora tanti, i si dice vari. Roberta, la sua storia, il suo martirio, meritano verità e, soprattutto, giustizia. Non più quella sommaria. Ma, quella certa.

    Quella che ha il dovere e deve, per obbligo morale, umano e giuridico, dare un nome ed un volto a chi ha frenato la vita di questa 19enne, facendola precipitare in un dirupo. Lunga la strada della vita, lungo il sentiero delle vacanze. 

    Carmine Calabrese

    Foto tratta dal web

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